“Il sonno della ragione genera mostri”. Per gli appassionati d’arte è solo il titolo, ammonitore, di un’opera tra le più famose di Goya, ma nei giorni in cui viviamo dovrebbe divenire il motto e il mantra di ogni cittadino. Perché? Perché oggi più che mai negli ultimi secoli di storia l’uomo è immerso nell’irrazionalità del pensiero. Decenni di sviluppo tecnologico ci hanno portato ad avere letteralmente il mondo ai nostri piedi, in un crescendo di innovazioni più o meno richieste che hanno permesso all’uomo di plasmare la realtà secondo i suoi bisogni. Ma cosa accade quando tutti i bisogni sono soddisfatti?
LA SOCIETÀ DEL TUTTO. Oggigiorno, nella società occidentale, ogni individuo ha una cultura scolastica. Perlomeno, chi meglio e chi peggio, tutti sanno leggere e scrivere, conquista eccezionale che siamo riusciti ad ottenere neanche da troppo tempo. Tuttavia non siamo stati capaci di sfruttare al meglio questa potente conquista, cosicché oggi ci ritroviamo ad avere degli alfabetizzati che sono molto meno istruiti degli analfabeti. Ciò è dovuto al fatto che, mentre in precedenza non si avevano del tutto i mezzi per accedere alla conoscenza, o questi in ogni caso erano riservati solamente a classi agiate, oggi questi mezzi, adesso a disposizione di tutti, vengono utilizzati male. Nella società del tutto infatti ciò che manca è il dubbio. È il dubbio che spinge l’uomo a conoscere, e nelle generazioni digitalizzate questo è venuto meno, annichilendo la curiosità e la voglia di imparare. Parafrasando un detto molto in voga, tempi comodi come i nostri hanno creato individui deboli. Avendo tutto non si cerca niente, e ogni verità che ci viene trasmessa da i guru moderni viene data per assoluta e scontata.
IL FALLIMENTO DEL SISTEMA SCOLASTICO. Di certo tra le cause di questo inaridimento delle menti, va annoverato un sistema scolastico che ha sempre più a che fare con tempi stretti che fanno prediligere la quantità alla qualità del lavoro. Un altro problema atavico delle nostre scuole riguarda poi gli insegnanti. Gli alunni di ogni ordine della scuola obbligatoria hanno a che fare nel loro percorso formativo con un numero sempre più grande di maestri e professori. Ciò è dovuto al precariato che affligge il sistema e che fa sì che un insegnante debba andare in assegnazione provvisoria un numero imprecisato di volte prima di giungere all’agognato posto di ruolo, e, nel peggiore dei casi, molti di loro non raggiungeranno mai tale traguardo. Questo comporta che gli studenti cambieranno, talvolta di anno in anno, metodi di insegnamento, con il risultato di generare solo confusione nelle loro menti. Inoltre nel sistema scolastico, italiano e non, si è sottovalutato in maniera quasi ridicola l’impatto che internet ha oggi sulla formazione dei giovani.
IL (NON) INSEGNAMENTO DIGITALE. Le giovani generazioni di oggi arricchiscono sempre più il loro bagaglio culturale tramite internet e le notizie che girano in esso. Un esempio su tutti: l’educazione sessuale. Anche a causa di un bigottismo onnipresente all’interno della società italiana, i ragazzi si approcciano alla loro sessualità non a scuola (dove si dovrebbe), e dunque in un ambiente controllato che limiti al minimo i rischi dipendenti da un argomento così delicato, ma dai siti pornografici, coltivando una visione distorta della sfera intima e sviluppando, nei casi più gravi, idee e tendenze pericolose nell’ambito. E se i millennials si formano sempre più in rete che a scuola, anche le generazioni precedenti non sono immuni dal rischio dell’informazione su internet. Molti di loro infatti, al di là di quello che sia il grado di istruzione pregresso, vanno reperendo sulla rete quelle che secondo loro sono nuove conoscenze, ignorando il fatto che gran parte delle news in rete sono false o frutto di fantasia.
L’AGGREGAZIONE DEL NON SAPERE. La situazione fin qui descritta è inoltre amplificata da un fenomeno a noi temporalmente molto vicino: la diffusione dei social networks. Se prima lo “scemo del villaggio” (termine non politicamente corretto ma in grado di rendere l’idea) si ritrovava infatti atomizzato o, perlomeno, inserito nella sua piccola realtà, adesso, tramite per esempio Facebook, ha la possibilità di mettersi in contatto con gli altri “scemi”, realizzando una pericolosa coalizione che ha come collante interno elementi come il complottismo, la nostalgia di ideologie politiche, il razzismo. Senza invocare la rimozione di un diritto fondamentale come quello di parola, è chiaro che un fenomeno del genere rappresenta un ostacolo immenso per il progredire della nostra umanità. Nel titolo di questo pezzo ho parlato di Medioevo 2.0, ed è a questo punto che capiamo il perché di tale affermazione: oggi, come mille anni fa, viviamo in un oscurantismo mistico. L’unica differenza è il modo meno coercitivo (in alcuni casi) con cui questo ci è propinato. La grossa possibilità che noi però abbiamo, e che mille anni fa non avevano, è quella di poter spezzare da soli le nostre catene. Internet infatti non rappresenta il male assoluto: tra le miriadi di siti e notizie che promuovono teorie non scientifiche e complotti, ci sono anche pagine autorevoli, veramente formanti e capaci di elevare il nostro livello culturale. Basta solo volerlo. Ma lo vogliamo davvero?
RIPENSARE L’INFORMAZIONE. Nel panorama fin qui descritto mi sono focalizzato sugli utenti finali delle news, siano esse false o vere. Ma la situazione che ci troviamo a vivere è frutto, soprattutto, di un’informazione che nel corso degli ultimi anni si è resa sempre più faziosa e menzognera. l giornali, o i siti internet di questi, sono ancora oggi considerati come strumento autorevole per reperire conoscenza del mondo circostante. Ma se questi iniziano a diffondere notizie false o ascientifiche, ne deriverà che l’utente, soprattutto se meno scolarizzato (eventualità non remota a causa del fallimento del sistema scolastico suddetto), crederà in maniera acritica a ciò che legge e riuscirà a discernere sempre meno non tanto ciò che è giusto o sbagliato, dato che questi sono concetti relativi, ma ciò che è vero o falso. Un esempio su tutti: qualche mese fa ci sono stati, nel Nord Italia, 3 casi di malaria, uno dei quali ha portato alla morte di una bambina italiana. Nelle altre due circostanze, le bambine affette dal morbo erano africane. Come la comunità scientifica sa, e come anche il cittadino comune può sapere se solo volesse spezzare le catene che lo imprigionano nel Medioevo 2.0, la malaria non è una malattia trasmissibile da persona a persona. Tuttavia il giornale “Libero”, che di libero in realtà ha solamente il nome, titolava il giorno seguente che “gli africani ci hanno portato la malaria”. Una falsità. Che però è stata scritta su un giornale a diffusione nazionale e che ha influenzato una fetta di popolazione. Deontologicamente questa è una mossa assolutamente vergognosa. Fare giornalismo deve essere diffondere conoscenza, non falsità e dunque paura e ignoranza. Perché in fin dei conti essere ignoranti vuol dire avere paura, perché si teme ciò che non si conosce. E come se non bastasse, a cavalcare i sentimenti della gente arrivano politicanti che, anche sfruttando il fatto che la gente proprio per un difetto culturale tende a dimenticare, acquistano consensi basandosi su non conoscenze ormai universalmente diffuse. Così l’elettore medio del Sud dimenticherà che Matteo Salvini considerava questa terra alla stregua di un bagno pubblico e moltiplicherà i suoi consensi. Allo stesso modo un giovane crederà alle non verità che legge su Facebook, e diventerà nostalgico di un periodo storico che non ha vissuto e nemmeno conosce, aumentando gli effetti del populismo e del razzismo.
E LE SOLUZIONI? Beh, le soluzioni fortunatamente le abbiamo alla nostra portata. Come detto, internet non diffonde solo non sapere, ed essendo ormai alla portata di tutti ci offre la possibilità di spezzare le famose catene del Medioevo 2.0. Tuttavia, accanto all’opera personale dei singoli individui che dovrebbero essere spinti dalla voglia di conoscere piuttosto che da quella di essere abbindolati, occorre che le istituzioni inizino a prendere davvero sul serio la pericolosità della non informazione, e pazienza se sconfiggendola i vari partiti otterranno qualche voto in meno. Ma, cosa ancora più importante, è il giornalista che oggi DEVE ritornare ad essere indipendente. Il servilismo genera solo non sapere, e dato che la gente comune riconosce a questa figura professionale ancora un barlume di prestigio e rigore, il futuro di questa strana umanità moderna che ha tutto e desidera non avere niente, che ha i vaccini e desidera avere le malattie, è nelle mani di chi scrive. È nelle mani di chi informa.