Le generazioni appassionate di calcio che hanno avuto la fortuna di guardare giocare campioni come Maldini, Zanetti, Raùl, Puyol, o Lahm sentono forse oggi la nostalgia di uno sport che si presentava in maniera autentica ai suoi tifosi, uno sport dove il denaro, i diritti d’immagine, il business non avevano ancora conquistato il centro del palcoscenico nella misura in cui contano adesso. Se si volesse portare ancora più indietro le lancette dell’orologio, dritti fino ai magici anni ’60, non potremmo scegliere figura più rappresentativa del movimento calcistico europeo dell’ex giocatore e allenatore scozzese Bill Shankly.
UN UOMO DEL POPOLO. Anche negli anni di maggiore notorietà e successo sportivo, Bill Shankly non dimenticò mai le sue umili origini, un passato fatto di modestia e cinghie tirate, speso nel piccolo villaggio di Glenbuck ai confini fra le regioni dell’Ayrshire e del Lanarkshire. L’infanzia di questo grande sportivo è trascorsa tra la cenere delle miniere, Glenbuck era infatti un piccolo polo minerario, e i rimbalzi di un pallone di pezza. Shankly era il più giovane di 5 fratelli, tutti diventati, come lui, calciatori professionisti. Sebbene la sua carriera da calciatore non fu altrettanto nota come quella da allenatore, riuscì a vincere una coppa d’Inghilterra con il Preston North End nel 1938 e difese i colori della sua amatissima Scozia in 5 gare ufficiali. Prima di conquistare l’apoteosi sportiva con il suo Liverpool, Shankly fu allenatore, tra il 1949 ed il 1959, del Carlisle, del Grimsby, del Workington e dell’Huddersfield. Tutti i giocatori o i membri dello staff che ebbero la fortuna di conoscere e lavorare con Shankly l’hanno sempre descritto come un uomo assolutamente leale e devoto alla causa. Finché rimase allenatore dei Reds dedicò ogni singolo istante ed ogni singola preoccupazione della sua vita alla squadra che decise di allenare e ai tifosi del Liverpool, i ragazzi della Kop, con cui instaurò un rapporto irripetibile. Shankly non amava il denaro e pensava fermamente che gli interessi economici stessero minando alla base lo spirito più autentico del calcio. Nei 15 anni in cui rimase allenatore del Liverpool non discusse mai un aumento di stipendio né si occupò del lato economico della sua professione. Per lui, chi aveva l’onore e la fortuna di giocare per la squadra più forte d’Inghilterra, come amava definirla Shankly, aveva il dovere di onorare quella maglia rossa ed i propri datori di lavoro, come li descriveva l’allenatore scozzese, i tifosi. Giocatori e collaboratori dovevano dare tutto, ogni goccia di sudore, ogni goccia di sangue se necessario, per rendere felici i tifosi e portare il Liverpool dove meritava di stare, sul gradino più alto del podio del campionato inglese.
“RED OR DEAD”. I 15 anni in cui Shankly fu allenatore del Liverpool e che servirono per gettare le fondamenta di quello che divenne poi uno dei club più rispettati al mondo sono magistralmente descritti nella biografia di David Peace, “Red or Dead”. Il merito di aver portato a Liverpool una leggenda sportiva è da ascrivere al presidente dei Reds di allora Tom Williams e al dirigente Harry Latham che, nell’inverno del 1959, avvicinarono Shankly, a quel tempo allenatore dell’Huddersfield, per proporgli di allenare i Reds. Shankly non esitò nemmeno un istante, ritenne di essere di fronte all’opportunità della vita nonostante il Liverpool fosse stato relegato in seconda divisione, non vincesse un titolo da 14 anni e avesse a disposizione una macchina organizzativa fatiscente. L’arrivo di Shankly nel Merseyside ebbe lo stesso impatto di un uragano. Pretese dai dirigenti che fosse riammodernato Anfield in modo da renderlo accogliente e a misura di tifoso. I tifosi furono fin da subito la prima preoccupazione di Shankly, probabilmente il fatto che la maggior parte dei ragazzi della Kop provenisse dal mondo delle fabbriche permise all’allenatore scozzese di identificarsi immediatamente con loro, di instaurare una forma di complicità e rispetto unica. Non a caso ancora oggi il suo nome rimane forse il più amato dalla tifoseria Reds ed il coro “SHANKLEE-SHANKLEE” è quello che risuona ancora con maggior vigore sulle terrazze di Anfield. Gli ci vollero soltanto tre anni per riportare il Liverpool a casa, in prima divisione. Ci riuscì sottoponendo i suoi ragazzi ad allenamenti di un’intensità fisica pazzesca a cui egli stesso prendeva parte, dal primo all’ultimo minuto, «Quando morirò, voglio essere l’uomo più in forma di tutto il cimitero» amava dire. Il suo impatto si sentì anche a livello tecnico, rese il Liverpool una squadra veloce, rapida e precisa nei passaggi, veloce nelle verticalizzazioni, più volte si riferì al calcio dei suoi ragazzi utilizzando l’espressione “total football”. Shankly non ebbe nessuna remora a cambiare praticamente l’intero organico quando arrivò al Liverpool e lo fece di nuovo a metà degli anni ’60 non esitando a separarsi da giocatori, come Ian St.John, che furono determinanti nei suoi primi successi alla guida dei Reds. «Tutto ciò che facciamo lo facciamo per i tifosi e per questa maglia» era solito dire «le lancette dell’orologio scorrono per tutti, nessuno di noi è immortale, nessuno dura per sempre, e quando arriva il momento bisogna andare e lasciare posto a chi viene dopo di noi, a chi ha più fame di noi». Per il Liverpool vinse 3 campionati, 2 coppe nazionali, 4 Charity Shield e la prima coppa europea nella storia del club, la coppa UEFA della stagione 1972-1973. Shankly arrivò vicino anche a vincere la Champion’s League, fu fermato soltanto dall’Inter di Herrera, autrice di una clamorosa rimonta da 1-3 a 4-3 nella stagione 1964-1965. A conti fatti Shankly raccolse forse troppo poco rispetto alle sue reali abilità di allenatore, probabilmente perché si dedicò a costruire un’ossatura che potesse resistere nel corso degli anni. Il Liverpool continuò a vincere anche dopo il suo ritiro, diventando la seconda squadra inglese più titolata e una delle squadre più titolate al mondo. Il periodo più recente dei Reds non è stato particolarmente felice sotto il profilo dei trofei conquistati, l’ultimo risale al 2012 e si tratta di una coppa di lega. A quasi 50 anni di distanza l’eredità di Shankly rimane ben viva nei cuori dei tifosi come dimostra la statua posizionata di fronte ai cancelli di Anfield. Shankly morì nel 1981 a seguito di un arresto cardiaco, la sua frase più celebre recitava così: «Alcuni credono che il calcio sia una questione di vita o di morte. Sono molto deluso da questo atteggiamento. Vi posso assicurare che è molto, molto più importante di quello».