È morta Irina Sanpiter. L’attrice di teatro russa, nota al grande pubblico per aver interpretato il personaggio della disperata e dimessa Magda nel secondo cult di Verdone, “Bianco, rosso e Verdone”, si è spenta all’età di 60 anni a Roma, dove era ricoverata da otto mesi all’Umberto I. Lottava contro la leucemia da quando ne aveva 27. Aveva iniziato la sua carriera d’attrice dopo gli studi al Maly Theatre di Kazan e la laurea in Scienze politiche. Come premio lo zio, lo sceneggiatore Giorgio Arlorio, le regalò un viaggio in Italia: dopo una parte senza accredito in un lavoro di Ettore Scola, fu Sergio Leone a sceglierla per la parte che la rese celebre – dopo aver scartato Ornella Muti e Isabella Rossellini – e a farla doppiare, con marcato accento torinese, da Solvejg D’Assunta. C’erano tutte le premesse di una brillante carriera: dalla Lucia de “I Promessi sposi” in un poco fortunato sceneggiato per la tv a una serie di commedie anni Trenta francesi fatte in diretta Rai la domenica pomeriggio, con Celi e Dapporto, passando per Amalia in “Lacrime Napulitane” di Ciro Ippolito. Dopo pochi anni la malattia e l’abbandono dell’attività cinematografica a causa delle precarie condizioni di salute e delle continue trasfusioni di sangue cui era costretta a sottoporsi. Al suo fianco per oltre trent’anni Tony Evangelisti, produttore musicale che ne fa una consulente per artisti, a capo di uno staff organizzativo di numerosi concerti (da Billy Preston ai Gipsy Kings).
SEMPLICEMENTE MAGDA. Ma fu il celebre fortunato ruolo, unico e inarrivabile, ottenuto ripresentandosi a Cinecittà solo per riavere le uniche due fotografie in bianco e nero che aveva portato con sé dall’Unione Sovietica e servitele per il casting, a eternare quei grandi occhi malinconici e a imprigionarla nell’indimenticato e indimenticabile personaggio. Presa alla sprovvista dalla proposta di un provino da parte di Sergio Leone, Irina – che mastica appena l’italiano – accetta ma chiede di andare in bagno e allo specchio vede “una donna sfatta e disperata”. Fu così che nacque Magda. «Magda, per l’amor di Dio fermati!» «Ma scusa Furio, che cosa ho fatto?». Era il 1981 e Carlo Verdone regalava al pubblico “Bianco, rosso e Verdone”, arguto e geniale road movie ambientato in Italia, nei primi del decennio, durante un fine settimana elettorale. Sono tre gli uomini in viaggio per raggiungere i rispettivi seggi: tra questi, con la storica Fiat 131 Panorama bianca, c’è Furio Zòccano, avvocato romano residente a Torino, meteoropatico socio ACI n.917655/UT, saccente, logorroico e pedante oltre ogni limite, che pianifica e calcola tutto fin nel dettaglio. Ed eccolo ammorbare la moglie con le sue paranoiche verità e ossessioni: dalla composizione a mosaico dei bagagli nel cofano della macchina all’interminabile lista di compiti pre-partenza affibbiati all’amata consorte, che subisce remissiva in silenzio il continuo giudizio dell’angosciante marito. «Tu mi adori? Allora lo vedi che la cosa è reciproca». Eppure la vessata Magda, appena può, si rintana bagno ed esterna la propria angoscia e malessere con un estenuato «Non ce la faccio piùùùùù!». La Sanpiter è nata a Mosca – Russia centrale – eppure il volto è tipicamente torinese: occhi grandi, labbra pendule, viso slavato, sullo stampo dei personaggi pubblici della famiglia Agnelli. La ricordiamo, durante la sosta alla pompa di benzina, dirigersi ostinata e noncurante verso i bagni pubblici – «distributori automatici della salmonellosi e del tifo» a detta di Furio – in un raro attimo di ribellione alle insulse fisime del marito. Con copri-tavoletta sterilizzata in mano «per rendere difficile la vita ai bacilli» e scongiurare la possibilità di dover fare i propri bisogni nell’ampia piazzuola decantatale, non ha nemmeno il tempo di sfogarsi nel bagno delle signore che è interrotta dall’irruzione dell’opprimente marito alla disperata ricerca della scheda carburante. Ma quei grandi e dolci occhi azzurri spalancati in un’espressione di esasperazione senza fine e la frangetta riccia che incorniciava il bel viso da sposina ingabbiata in un matrimonio asfissiante trovano conforto, durante il tragitto per Roma, nel playboy di Angelo Infanti. Così, giunti infine a destinazione, mentre Furio adempie al dovere civico, Magda si congeda dai figli e fugge disperatamente con l’aitante Raoul, a bordo del suo maggiolino azzurro, a simboleggiare un principe azzurro a cui probabilmente Magda anelava da tempo.
IL RICORDO DI CARLO VERDONE. Del celebre cast del film non è rimasto più nessuno: Mario Brega, Elena Fabrizi, Angelo Infanti e gli altri protagonisti sono scomparsi da tempo. Adesso Magda. Ed è proprio il suo Furio a ricordarla tramite la pagina social, in un lungo e affettuoso post di commiato accompagnato da uno scatto che ritrae insieme i rispettivi personaggi. «Sono molto triste, addolorato – scrive il regista – ci vedevamo poco ma l’abbraccio, quando ci si incontrava, era sempre forte e pieno di dolce nostalgia. Era russa, di Mosca: me la fece incontrare Sergio Leone in quanto era parente della moglie (moscovita) dello sceneggiatore Giorgio Arlorio. Fra tre opzioni scelsi subito lei per via di quegli occhioni dolci e malinconici che dovevano essere una caratteristica della mia Magda. Non volle continuare per scelta la strada del cinema. Era rimasta appagata dal nostro film e si mise ad organizzare eventi e concerti musicali. Non sapevo fosse malata. L’ultima volta la incontrai lo scorso anno all’Isola Tiberina durante la rassegna cinematografica estiva. Di quel film non è rimasto quasi nessuno, e questo mi deprime terribilmente. Ma il cinema, fortunatamente, ci ferma nel tempo. Illudendoci di una certa immortalità su uno schermo. Magda sarà sempre nel mio cuore come una delle creazioni più riuscite: era sempre allegra, spiritosa, ironica. Grazie Irina per aver condiviso con me una bella commedia rimasta nel cuore di tanti spettatori. Ti ricorderò per sempre cara, dolce amica». E tutti noi, soprattutto di questi tempi, dovremmo tenere a mentre che, per quante Magda possano esistere, ci saranno sempre molti più Furio. Non possiamo farcela. Come direbbe il pedante avvocato: «Antongiulio, Antonluca, salutate mamma!»
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