C’è la modella sexy che addenta una mela, quella che si rotola fra le lenzuola, quella strizzata in un mini bikini. Sono tanti gli esempi di donne impiegate nelle pubblicità ridotte ad oggetto con i loro corpi, fin troppo scoperti, a fare da richiamo. E poi c’è una donna in short che si strofina sul corpo dell’olio per motori. Il manifesto pubblicitario, apparso a Palermo, è stato subito oscurato con la scritta “Questa è violenza sulle donne” da alcune ragazze dell’Assemblea contro la violenza maschile sulle donne. Si tratta della pubblicità dell’olio per motore Challoils in cui appare, in abiti succinti e in posa giudicata “ammiccante”, la fotomodella brasiliana Desirée Poper.
DONNE IN VENDITA. Ma non è l’unico caso. Basta fare un giro per le tante strade del Belpaese per trovare corpi seminudi che ti invitano ad acquistare uno smartphone, a partire per una crociera e ad iscriverti in palestra. E tutto passa attraverso una coscia, un seno, un gluteo. Carne da sacrificare sull’altare del dio mercato. «Fatti il capo» recitava qualche anno fa lo spot di un famoso amaro. O quello australiano, censurato perché ritenuto sessista, che mostrava un’attrice intenta a bere un sorso di vino da un bicchiere. La protagonista poi lo poggiava su un tavolo proprio all’altezza dell’inguine prima di recitare la frase che ha creato scalpore: «L’Australia salta praticamente fuori dal bicchiere, infatti alcuni dicono che si può quasi assaporare il cespuglio». È lungo l’elenco di pubblicità che giocano con le parole e i doppi sensi. E si va da «Ma che bucce!» a «Te la diamo gratis» (la macchina del caffè Borbone). Ma basta digitare “pubblicità sessista” su un qualsiasi motore di ricerca per rendersi conto che in Italia siamo tappezzati di manifesti che veicolano stereotipi e modelli discriminanti. E la situazione peggiora di molto quando sono le piccole aziende a pubblicizzarsi a livello locale. Così troviamo slogan che recitano «Noi lo facciamo tutti i giorni», «A me piace nero», «Fai come lei scegli le palle giuste». Nel dubbio su cosa dire e come dirlo, alcuni pubblicitari vanno a pescare in una sottocultura popolare intrisa di maschilismo.
IN UN UNIVERSO PARALLELO. Sono ovunque e fanno da sfondo alla nostra giornata. In macchina quando ascoltiamo la radio, al bar quando leggiamo il giornale, a casa quando guardiamo un film. Pubblicità costruite sui peggiori luoghi comuni. E se negli anni Cinquanta la donna rappresentata era l’angelo del focolare, oggi è la bomba sexy che in abiti succinti ti prepara la cena. Ma la pubblicità è solo lo specchio della società. E la polemica tocca un nervo scoperto della nostra epoca: il ruolo della donna. Il fotografo libanese Eli Rezkallah si è divertito ad invertire i ruoli di genere nelle campagne pubblicitarie vintage. L’ispirazione del progetto “In A Parallel Universe” è arrivata quasi per caso il giorno del Ringraziamento, quando durante una discussione in famiglia lo zio sosteneva che alcune faccende domestiche, come quelle in cucina, fossero strettamente destinate alle donne. Così l’artista, fondatore di Plastik Magazine, ha deciso di ribaltare tali stereotipi riprendendo alcuni spot particolarmente sessisti e invertendo i ruoli dell’uomo e della donna. Il risultato del progetto è una donna emancipata, dedita alla carriera, mentre “Gli uomini non lasciano la cucina”, come recita un celebre spot degli anni Sessanta ovviamente a parti invertite. Con ironia Eli Rezkallah ha rivisto alcuni spot distruggendo vecchi stereotipi di genere.
STOP ALLA PUBBLICITÀ SESSISTA. Ma nelle pubblicità ancora oggi donna fa rima con casalinga. Donna vuol dire madre. Donna vuol dire frivolezza. Donna vuol dire nudità. Ma sappiamo bene che siamo molto di più di quello che vediamo sui muri delle nostre città. La prima è stata Berlino a ribellarsi alla mercificazione del corpo femminile vietando le affissioni di manifesti discriminanti. E adesso anche la modernissima Svezia si muove nella graduale eliminazione di ogni pubblicità che possa in qualche modo aiutare e suggerire comportamenti non corretti nei confronti delle donne. Queste nuove leggi non devono essere percepite come un vincolo che mira a eliminare la figura della donna all’interno delle campagne di marketing, ma una nuova opportunità e una nuova sfida, un cambiamento in positivo che valorizzi la donna e non la limiti a ruoli stereotipati. Così coltiviamo la speranza che un giorno anche l’Italia possa unirsi a questa battaglia di soppressione della pubblicità sessista.