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Voglio andare a vivere in città

Giuseppe Leotta di Giuseppe Leotta
Febbraio 7, 2018
in Mondo
Tempo di lettura: 3 mins read
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Tokyo

Tokyo (Giappone)

Le città saranno il centro del mondo, più delle Nazioni e più degli organismi internazionali. A dirlo dati statistici evidenti, già nel 2006 le Nazioni Unite con il report “The State of the World’s Cities” fotografarono plasticamente una concentrazione sempre più importante della popolazione mondiale nelle città. Inoltre, è l’urbanizzazione nelle aree in via di sviluppo quella che sta subendo l’esplosione più massiccia ed entro il 2030 il 78% della popolazione urbana mondiale potrebbe essere concentrata proprio in queste aree del globo. La crescita esponenziale nel numero e nella quantità di abitanti delle metropoli del mondo si lega inestricabilmente con le dinamiche della globalizzazione.

GLOCALIZZAZIONE. Le città, soprattutto le grandi metropoli, diventano hub di creatività e innovazione, ruota motrice per la crescita economica, depositarie di funzioni di coordinamento internazionale nell’ambito di settori cruciali come l’alta finanza (si pensi al ruolo di Londra in questa prospettiva) ma anche sedi di enormi ineguaglianze sociali il cui simbolo più noto è rappresentato dalla proliferazione dei cosiddetti “slum”, pentole ribollenti di radicalismo politico, enormi centri di consumo delle risorse primarie dell’ambiente come l’acqua o l’aria. Ciò che lascia basiti è l’estensione tentacolare che negli anni centri urbani come Tokyo hanno raggiunto. Se si considerano anche gli anelli urbani più esterni, la capitale del Giappone conta più di 50 milioni di abitanti, cifre impressionanti che fanno di questa “megalopoli”, impossibile trovare termini più adatti per definirla, la città più grande al mondo, un universo complesso di funzioni, persone, storie, connessioni, più complesso di tantissime Nazioni presenti oggi sulla faccia della Terra. In questi “cosmi urbani” diventa difficile persino tenere sotto controllo i flussi demografici, in particolare le entrate e le uscite di tutti coloro che arrivano nelle città in regime di clandestinità, non-cittadini che popolano spesso periferie sempre più degradate, relegati ai margini delle normali relazioni sociali urbane, senza identità e senza diritti. La flessibilità è il collante che tiene insieme rapporti e relazioni delle megalopoli contemporanee. Flessibilità nei rapporti lavorativi, ma anche nelle relazioni interpersonali, amori e amicizie usa e getta come le definirebbe Bauman. Le città sono diventate il fulcro di una relazione fluida tra tendenze omologanti, tipiche della globalizzazione, che stanno influenzando costumi, abitudini alimentari (si parla spesso di “Macdonaldizzazione”) ed organizzazione del lavoro da un lato, ed un’identità locale che si aggrappa con forza alle proprie peculiari tradizioni, credenze e memorie dall’altro. Se le previsioni degli studiosi saranno confermate, le città saranno ben presto il cuore pulsante della geopolitica mondiale, in questi “megaversi” si concentrerà il fulcro delle relazioni economiche, finanziarie, politiche e culturali più importanti al mondo. Tra le sfide più importanti che i nuovi spazi urbani dovranno affrontare in questo secolo c’è sicuramente quella della sostenibilità.

CITTÀ SOSTENIBILI. Il secolo delle città dovrà interrogarsi su come rendere “sostenibile” la vita all’interno degli spazi urbani. Ogni grande metropoli proietta sul mondo la propria “impronta ecologica”, cioè la quantità di risorse naturali che questa consuma per le proprie esigenze basilari come l’acqua, il suolo o l’aria. L’enorme problema evidenziato da tante associazioni ambientaliste è che consumiamo più risorse di quelle che il nostro paese riesce a rigenerare. Secondo i dati del “Living Planet Report 2012” rapporto pubblicato da WWF, Global Footprint Network, Zoological Society di Londra e Water Footprint Network, la bio-capacità totale della Terra ammonta a 12 miliardi di Gha (ettaro globale) cioè di 1,8 pro-capite, mentre l’impronta ecologica dell’umanità supera i 18 miliardi (2,7 pro-capite). In pratica l’impronta ecologica dell’umanità ha superato la bio-capacità della Terra di oltre il 50%. La sfida della sostenibilità si giocherà allora sulla capacità di costruire un metabolismo urbano resiliente, come dicono gli esperti, capace di implementare soluzioni di riciclo, riuso, riduzione e recupero (le cosiddette “4R”) per lasciare alle future generazioni ambienti urbani vivibili e salubri. A questo proposito continuano ad essere due le principali necessità delle metropoli contemporanee, la produzione di energia e la raccolta/smaltimento dei rifiuti urbani. Come si affermava in precedenza, le città creano oggi più rifiuti di quelli che il pianeta possa assorbire e consumano più energia di quella che il pianeta possa produrre e rigenerare. Per vincere la sfida della sostenibilità, sostengono gli esperti del settore, occorrerà ripensare i modelli di consumo delle risorse energetiche ed attuare una rivoluzione copernicana nel sistema dei rifiuti cominciando a considerarli una risorsa da immettere nuovamente nel ciclo di produzione piuttosto che un suo scarto (c.d. “metabolismo circolare”). Le città sostenibili sono luoghi dove l’organizzazione dello spazio non viene sviluppata in maniera caotica e confusa bensì pianificata in modo tale che i suoi abitanti possano muoversi utilizzando trasporti pubblici intermodali, dall’autobus alla bicicletta, decongestionando le arterie viarie ed arrivando con facilità nei centri storici, il perno della vita urbana. La cultura della sostenibilità, infine, come ci dimostrano innumerevoli esempi pratici, si nutre della cultura della cittadinanza attiva. La possibilità per gli abitanti delle zone urbane di poter facilmente accedere alla sfera pubblica, esercitandovi controllo e pressione, appare come la miglior garanzia di avere istituzioni pronte ad investire risorse umane e finanziarie in politiche di sostenibilità a lungo termine.

Tags: CittàEcologiaGlobalizzazioneMetropoli
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PICKLINE è una testata giornalistica registrata al Tribunale di Roma n. 89 del 22/05/2018
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