Quando hai 10 o 12 anni di politica e di elezioni non te ne importa niente. Così, durante le tornate elettorali, l’unico modo in cui i politici riescono a coinvolgerti è coi loro manifesti. Sorrisi a 387 denti, slogan impareggiabili e grafiche ricercate: ogni candidato cerca di vendersi al meglio, ma tu hai 12 anni e, anche volendo, non puoi nemmeno andare a votare. Così la cosa più divertente che puoi fare, vuoi per noia, divertimento o per un primordiale senso di sfida verso i potenti, è cambiare con un pennarello i connotati dei candidati. E via dunque a disegnare baffi a manubrio o col ricciolo, mono sopraccigli, denti neri e bende da pirata. Erano belli quei tempi, i tempi dei manifesti, che ora però sono stati superati. Non che andando in giro non se ne trovino, ma i partiti rivolgono la loro attenzione al mondo digitale che, oltre ad essere più economico, permette di raggiungere davvero ogni meandro del paese. Così nelle piazze di ogni più o meno grande città, gli spazi dedicati all’affissione delle belle facce e dei simboli restano via via sempre più vuoti. Ma nonostante ciò, queste elezioni del 2018 ci hanno regalato qualcosa di meglio…
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SPOT. La pubblicità conta più di qualsiasi altra cosa in campagna elettorale. I partiti, così, utilizzano le loro risorse, anche quelle ricavate dal risparmio sui manifesti cartacei, per elaborare degli spot, più o meno simpatici, tali da convincere l’elettore. Ha fatto storia in questo 2018 quello del PD. Oddio, ha fatto storia…”sicuro sicuro?”. Ecco, è questo il tormentone che sta tenendo banco nel partito guidato da Renzi in vista delle elezioni. Lo spot ritrae un’allegra famigliola italiana, impegnata in un viaggio in auto, che è intenzionata a votare compatta il PD. O meglio, quasi compatta. Il padre infatti è piuttosto convinto di non dare più la sua fiducia al partito, ma sua moglie e i suoi figli cercano strenuamente di fargli cambiare idea, enumerando tutte le belle cose che il PD ha fatto nel corso degli anni. Ma il pater familias è irremovibile. Indispettito inchioda, e ripete una volta per tutte che lui il PD non lo vota. Fino a quando però, dal lato guida, fa capolino Matteo Renzi, in bicicletta come don Matteo (parallelismo voluto?), che chiede al contrariato padre “sicuro sicuro?”. Lo spot si conclude con Renzi che si invola sui pedali come Cipollini in uno sprint finale, non prima di aver invitato il guidatore anti-PD a pensarci bene. Quello del Partito Democratico è stato l’unico spot elettorale della campagna 2018. Sarà riuscito a cogliere nel segno e a risollevare le sorti di un partito che sembra destinato alla sconfitta?
INNI E FANS CLUB. “Noi abbiamo un esercito”. “E noi abbiamo un Hulk”. La prima frase è di Loki, la seconda di Iron Man ed è tratta dal film “The Avengers”. Ecco, il centro-destra non si è premurato di commissionare uno spot elettorale perché, se gli altri hanno un esercito, loro hanno un Berlusconi, gran maestro della campagna elettorale. Il leader di Forza Italia ha, come sempre, calamitato l’attenzione sulla sua figura. Dal video in cui spiega come votare al nuovo contratto con gli italiani firmato a Porta a Porta, l’ex Cavaliere ha trovato energie che non sono tipiche di un ottantenne, e ha scatenato nuovamente nei suoi vecchi elettori il senso di appartenenza al popolo delle libertà. Quello di Berlusconi è una sorta di culto della personalità di faraonesca memoria, e il presidente della Fininvest lo sta cavalcando anche in questa ultima tornata. L’aggettivo ultima si riferisce all’ordine di tempo, perché siamo abbastanza certi che tra 20 anni lo ritroveremo ancora qui. Ad ogni modo, in vista del 4 marzo è diventato virale il video in cui un’accanita fan di Silvio canta a squarciagola, commossa fino al pianto, l’inno nazionale berlusconiano, quel “Menomale che Silvio c’è” che potrebbe essere tranquillamente classificato da Rolling Stones tra le 500 canzoni più importanti della storia della musica. Il testo è stato scritto da Andrea Vantini e, nomen omen, tesse le lodi dell’ex Cavaliere di Arcore dall’ormai lontano 2008. Allora portò fortuna alla coalizione del centro-destra, oggi chissà. Berlusconi però non è più il padre padrone di quello schieramento, e post voto dovrà fare sicuramente dei patti che rischiano di svilire la sua figura da Big Man.
SELFIE E PROVOCAZIONI. Ma all’interno del centro-destra, il ricorrere a una campagna elettorale old style non è stata una prerogativa del solo Berlusconi. Gli altri partiti principali della coalizione si sono resi protagonisti di gesti incredibilmente antichi e retorici, come il giuramento sulla Bibbia di Matteo Salvini di americaneggiante memoria, nonostante lo stesso sia uno dei politici più social di tutti tra felpe e tweet. A queste dimostrazioni campali, si accompagnano le sempreverdi manifestazioni in piazza con esiti, però, più o meno discutibili. Come dimenticare infatti la cattiva figura fatta da Giorgia Meloni in occasione della sua protesta contro il direttore del Museo Egizio il quale ha dimostrato alla stessa leader di Fratelli d’Italia come la sua presa di posizione fosse stata fatta su supposizioni fantasiose piuttosto che su fatti reali? Ma accanto a questi gesti più classici, anche in questo schieramento la comunicazione online ha fatto quantomeno capolino. Negli ultimi giorni la stessa Meloni è diventata virale sul web come e più della rumorosa fan di Berlusconi, con un selfie scattato “con” i manifestanti di sinistra che la contestavano, dando vita ai più disparati meme che hanno approfittato del fatto che, nella specifica foto, la Meloni non sia venuta esattamente come nell’album della prima comunione. Quanto a Salvini, se dovesse diventare Premier, gli consigliamo come primo atto del suo governo di fare una legge che come nei film americani obblighi gli alberghi a tenere una copia della Bibbia nel cassetto del comodino.
I PALADINI DEL WEB. Se il PD ha rivisitato un classico come gli spot elettorali e il centro-destra si è affidato principalmente alle pratiche old style, è il Movimento 5 Stelle ad essersi contraddistinto come forza rinnovatrice della comunicazione elettorale. Il M5S nasce e si sviluppa col chiaro intento di utilizzare la rete come base prediletta della sua attività politica. Del resto, il Movimento nasce dal blog di Beppe Grillo, oggi scisso dal sito del partito, e nel web intravede quella democraticità reale e diffusa tipica degli studiosi di internet della prima ora. Anche grazie alla febbrile attività personale dei sostenitori, i 5 Stelle hanno potuto contare su una campagna elettorale diffusa, non erogata principalmente dagli organi ufficiali e, per questo, più capillare. Di Maio & co. hanno così, in parte, fatto scuola, e le foto con cui promuovono le loro proposte politiche sono state prese a esempio dagli altri partiti. Sono molto simili le immagini online sia nella grafica che nel formato, con le dovute differenze nel testo scritto che, ovviamente, promulga ideali differenti. Il web però nasconde insidie pericolose proprio perché alla portata di tutti. Così il pericolo principale è dato dalle fake news, diffuse sia da partiti con posizioni ultranazionaliste, sia da qualche sostenitore dei vari schieramenti che cercano di orientare la pancia dell’elettore. Da questo punto di vista tutti i partiti in lotta per il 4 marzo hanno sostanzialmente fallito, non essendo riusciti, accecati dalla volontà di trionfo, a fare fronte comune contro un fenomeno che rischia di destabilizzare il paese.
“COME NOI”. L’unica linea comune che attraversa trasversalmente tutti i partiti è la parola d’ordine del “come voi”. Quello che i politici cercano, da che mondo e mondo, di fare è rappresentarsi come persone normali, come noi. E in questo obiettivo il terzo millennio li aiuta parecchio. Il selfie, ad esempio, è la tattica che più avvicina la figura politica, da sempre percepita come lontana ed estranea, all’uomo comune. E questa cosa non sarebbe neanche troppo malvagia, dato che la gente ha bisogno sempre di più di sentire vicini coloro che dovrebbero gestire al meglio il loro futuro. Tuttavia questa campagna elettorale è stata la più cattiva, odiosa e astiosa di sempre. Principalmente si è badato di più a screditare l’avversario piuttosto che a proporre qualcosa di meglio. E come quei ragazzini che andavano in giro a disegnare le bende da pirata sui manifesti, i candidati e molti dei loro sostenitori più influenti, non hanno fatto altro che denigrare, in maniera anche piuttosto bambinesca, i loro contendenti. Quante volte abbiamo letto i nomi storpiati? Renzusconi, Renzie, Boldrenee, Salvenee, Di Mayo e chi più ne ha più ne metta. È questa la politica che vogliamo? È questo il prezzo da pagare per una repubblica più vicina all’elettore? Tra qualche giorno, purtroppo o per fortuna, il teatro elettorale calerà il suo sipario, e finalmente scopriremo chi ci governerà. Forse. Nell’attesa e per il futuro, è meglio lasciare l’odio, la cattiveria e l’invidia fuori dalla vita politica. Perché realmente non se ne può più.