Giovani prigionieri in una stanza. Hanno tra i 14 e i 25 anni ed hanno abbandonato la scuola o il lavoro. Dormono durante il giorno e vivono di notte per evitare qualsiasi confronto con il mondo esterno. Si rifugiano nei meandri della rete e dei social network. Li chiamano hikikomori, termine giapponese che significa “stare in disparte”. Conducono una vita parallela, in disparte appunto, lontana da una società che li fa sentire inadeguati. È come un meccanismo che si inceppa, schiacciato da troppe pressioni ed aspettative: i buoni voti a scuola, il raggiungimento della laurea, la ricerca di un lavoro.
DAL GIAPPONE ALL’ITALIA. Nasce così, secondo gli esperti, il fenomeno “Hikikomori”. La scelta di un termine giapponese per definire questa condizione non è casuale. È proprio nel Paese del Sol Levante che il disturbo è cominciato ad emergere negli anni Ottanta. Negli anni il numero degli hikikomori è cresciuto raggiungendo la preoccupante cifra di un milione di casi, vale a dire l’1% dell’intera popolazione. Il fenomeno ha varcato i confini del continente asiatico diffondendosi anche nell’Occidente industrializzato, Italia compresa. Stime non ufficiali parlano di almeno 100 mila casi sul territorio italiano, un esercito di nuovi eremiti che chiede aiuto. Un numero che è destinato ad aumentare se non si riuscirà a dare al fenomeno una precisa collocazione clinica e sociale.
COME SI DIVENTA HIKIKOMORI? Il ritiro dalla società avviene in modo graduale. Un giorno il ragazzo non vuole entrare in classe perché ha mal di pancia, dopo si rifiuta di proseguire gli allenamenti di calcio, poi smette di rispondere ai messaggi degli amici, inizia a stare sveglio di notte e a dormire di giorno. Fino a quando nonostante le suppliche o le minacce dei genitori dalla sua stanza non esce più. La scelta di chiudersi in casa è quasi sempre la conseguenza di un fatto traumatico: un giudizio, una delusione, un rifiuto. Come ad esempio andare a scuola e sentirsi invisibili, essere etichettati come sfigati e perseguitati per l’aspetto fisico. Su personalità fragili e sensibili tutto questo può diventare insopportabile. L’unica ancora di salvezza è chiudere le porte al mondo che li fa soffrire. Si pensa, erroneamente, che gli hikikomori siano affetti da una dipendenza da internet, schiavi della rete, e che sia stato l’abuso di tecnologia ad averli condotti in questo stato di eremitaggio moderno. Ma non è così, anzi i social possono diventare un ponte con la realtà.
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LA RETE. Per questo associazioni come “Hikikomori Italia” hanno creato forum di informazione e supporto sul tema dell’isolamento sociale volontario per i ragazzi, ma anche per i genitori. Una bacheca di richieste di aiuto e di sofferenza, ma anche di storie di speranza. Come quella postata su Facebook da una mamma: «Non so se mia figlia a settembre tornerà a scuola, ormai sono tre anni che non ci va. Ma non mi preoccupo. E no, non sono una cattiva mamma, ho solo scelto di rispettare le sue fragilità e aiutarla a fare pace con sé stessa e con il mondo. Stamattina l’ho accompagnata in stazione, e Francesca ha preso il treno per andare dai suoi amici, quegli amici conosciuti online, giocando a LOL (League Of Legends, gioco online famoso in tutto il mondo), e anche se sembra strano sono proprio coloro che la stanno facendo rinascere. Online Francesca spacca il mondo. E io le ho portato il mondo, incentivandola a conoscere e incontrare i suoi amici, ospitandoli anche a casa. Con prudenza, certo, ma in realtà dall’altra parte dello schermo ci sono altri figli. I vostri figli. Quando si sarà ricostruita, allora penseremo alla scuola. Nel frattempo, briciola dopo briciola, demoliamo le sue paure e costruiamo le sue certezze. Stamattina mi ha chiesto se ero felice. L’ho baciata sui capelli e gli ho detto di sì, perché sei felice tu. A me basta questo. Perché per me questa è tanta roba». La rete può essere l’unico antidoto affinché la loro stanza non abbia più pareti, ma alberi.