«No ad alleanze strane» ha già chiarito Matteo Salvini. Aperto al «dialogo con tutti» Luigi Di Maio. Il leader della Lega, il partito più votato nella coalizione di centrodestra, e il capo politico del Movimento 5 Stelle, il partito che ha ottenuto più preferenze in assoluto, sono alle prese con i calcoli per una maggioranza di governo. Sportivo e irruento, il primo, elegante e pacato, il secondo: i vincitori alle urne del 4 marzo sono diversi in tutto. Se fosse un capo d’abbigliamento, Salvini sarebbe una felpa e Di Maio un abito scuro. Agitatore delle masse il leader del Carroccio, flemmatico nel modo di parlare, con qualche congiuntivo sbagliato, il capo dei pentastellati. Rimane da capire se il più «tradizionalista» dei Cinquestelle e il più «grillino» dei leader dei partiti tradizionali riusciranno a trovare un accordo?
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ALLEANZA LEGA – M5S. Il Movimento 5 Stelle ha ottenuto 221 seggi alla Camera, ma per avere la maggioranza ne servono 315. Insomma, a Di Maio mancano 94 seggi per una autosufficienza governativa. Ne mancano 55 al centrodestra, che sommando le forze arriva a quota 260 seggi. L’incognita resta dove andare a pescare quelli mancanti. Stesso discorso vale per il Senato dove la maggioranza assoluta è fissata a quota 158 seggi. I cinquestelle si fermano a 112, il centrodestra a 135. Prima del voto c’era chi ipotizzava che gli elettori della Lega e del M5S fossero sovrapponibili, accomunati dalla rabbia contro l’establishment. Ma i risultati hanno mostrato una fotografia diversa, a partire dalla distribuzione geografica. Salvini ha vinto al Nord mentre Di Maio ha spopolato al Sud. Una divisione geografica dettata anche dai temi cavalcati in campagna elettorale: il taglio delle tasse e l’irrigidimento delle misure di Sicurezza voluti da Salvini hanno avuto appeal soprattutto nelle regioni settentrionali, il reddito di cittadinanza promesso da Di Maio ha fatto leva al Sud dove è particolarmente sentito il problema del lavoro.
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AFFINITÀ. Ma nei programmi elettorali dei due partiti più votati ci sono anche dei punti di contatto. Le affinità principali fra Lega e Movimento 5 Stelle emergono sull’agenda economica, nella proposta di abbattere il vincolo europeo del 3% nel rapporto tra deficit e Pil, in linea con le vecchie posizioni euroscettiche. Il punto di contatto più evidente è sull’abolizione della riforma pensionistica della Fornero. Il Movimento Cinque Stelle vorrebbe adottare la cosiddetta “quota 41”, la possibilità per tutti i lavoratori di andare in pensione dopo 41 anni di contributi. Altra tematica in comune: la revisione del Jobs act. La Lega vuole cancellarlo esplicitamente anche nel suo programma, mentre i Cinque stelle hanno ipotizzato un ritorno all’articolo 18.
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DIVERGENZE. Vicini, ma non vicinissimi, Lega e M5S sul tema dell’immigrazione. La Lega per «difendere i nostri confini», slogan più volte utilizzato da Salvini in campagna elettorale, valuta varie proposte che vanno dal potenziamento dei Centri di identificazione ed espulsione alla ricerca di accordi «con le tribù della Libia» per frenare i flussi. Il Movimento cinque stelle parla di una ripartizione equa delle responsabilità con l’Europa, anche se per fermare il «business dell’immigrazione» suggerisce l’aumento dei fondi alla cooperazione e lo stop alla vendita di armi ai paesi di provenienza. Lontani, invece, su tasse e walfare. La Lega ha sposato la Flat tax di Berlusconi, un’imposta con aliquota unica in cui la percentuale che viene pagata in tasse è fissa e non cresce con l’aumentare dell’imponibile. I Cinque stelle propongono “meno tasse”, ma in un’ottica più vicina ai criteri di progressività: «Riduzione delle aliquote Irpef, niente tasse per redditi fino a 10mila euro, manovra choc per le piccole e medie imprese, riduzione del cuneo fiscale e riduzione drastica dell’Irap, abolizione reale degli studi di settore, dello split payment, dello spesometro e di Equitalia». Anche sul welfare, si crea una frattura sulla proposta del reddito di cittadinanza avanzata dai cinquestelle.