«I have a dream». Le parole che resero famoso Martin Luther King risuonano nelle strade di Washington a decenni di distanza, ma questa volta è la sua nipotina, Yolanda Renee, a dare voce ad un’intera generazione che chiede rispetto e sicurezza alla politica americana. A dispetto di quanto vaticinavano osservatori politici ed opinionisti, i “ragazzini terribili” che si sono mobilitati dopo l’ennesima strage scolastica non ne vogliono sapere di dimenticare tutto e riprendere a vivere come se non fosse successo nulla. In un incredibile capovolgimento generazionale, questi ragazzi intendono prendere per mano l’America per condurla verso una rivoluzione politica e culturale che i loro genitori non sono riusciti ad ottenere.
#NEVERAGAIN. È l’hashtag che è diventato un simbolo nella battaglia della “generazione del cambiamento” come le centinaia di migliaia di giovani americani che urlano alla politica la loro contrarietà alla diffusione delle armi. Vi avevamo avvisato che questi ragazzi facevano sul serio e la manifestazione di sabato lo ha dimostrato pienamente. Non si vedeva una mobilitazione così vibrante e colorata dai tempi della guerra in Vietnam. Sorprende in particolare l’età media dei manifestanti, la maggior parte appena adolescente, un’età dove non si è abituati a vedere un’assunzione di responsabilità così massiccia e determinata. Sentore di una tematica che è realmente sentita dalla società americana arrivata ormai al limite della sopportazione. La “marcia per le nostre vite” ha raccolto il sostegno e l’adesione di personalità importanti. L’ex presidente Barack Obama e la moglie Michelle hanno voluto esprimere la loro vicinanza nei confronti del corteo affermando nei confronti dei ragazzi: «Siete fonte di ispirazione». In marcia, tra la folla, si sono visti anche George Clooney, Oprah Winfrey, Paul McCartney. Quest’ultimo ha voluto dare alla sua presenza un significato profondamente simbolico. «Sono qui perché anche uno dei miei migliori amici è stato ucciso dalla violenza delle armi molti anni fa proprio in questo luogo», ha affermato riferendosi a John Lennon.
Sul palco della manifestazione si sono anche esibite star internazionali come Ariana Grande, Demi Lovato e Miley Cirus. Questi ragazzi hanno dimostrato di avere le carte in regola e le idee per influire concretamente sull’establishment americano. Al grido di #votethemout, letteralmente “votiamoli fuori”, lanciano oggi un monito chiaro alla politica tradizionale ricordando ai due partiti storici, il partito repubblicano e quello democratico, che anche loro parteciperanno alle prossime elezioni presidenziali e che ricorderanno chi è stato solidale rispetto alle loro rivendicazioni e chi no.
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LE GIOVANI VOCI DELLA MOBILITAZIONE. Una marcia che ha tanti volti, tanti occhi pieni di sogni e di speranze ma anche pieni di lacrime per chi non ha potuto marciare insieme a loro. La “marcia per le nostre vite” ha dei giovanissimi protagonisti, che hanno acquisito una dimensione mediatica definita, come Emma Gonzalez, sopravvissuta alla strage di Parkland. «La mia amica Carmen non si lamenterà più con me per le sue lezioni di pianoforte, Alec Shatter non entrerà più a scuola con suo fratello Ryan, Gina Montalto non saluterà più la sua amica Lyanna a pranzo»: è la triste lista che Emma ha pronunciato dal palco di Washington per sottolineare gli effetti devastanti che sei minuti e venti secondi di follia hanno avuto sulle vite di centinaia di adolescenti. Sei minuti e venti secondi, esattamente il tempo in cui la platea è rimasta in silenzio durante l’intervento della Gonzalez in un potentissimo gesto simbolico ed emotivo.
«È importante essere qui affinché le vittime della violenza non rimangano soltanto delle statistiche inespressive», ha affermato la giovanissima undicenne Naomi Wadler. «Quando qualcuno si oppone a voi e vorrebbe impedirvi di votare o protestare perché siete troppo giovani, noi rispondiamo: Basta!», ha detto David Hogg, anche lui sopravvissuto a Parkland. «Una vita vale di più di tutte le armi in America» ha scandito in maniera lapidaria Sarah Chadwick.
La manifestazione di sabato ha già scosso dalle fondamenta l’opinione pubblica americana ma le iniziative sono soltanto all’inizio, ad aprile ne sono previste già delle altre a sostegno di una battaglia politica che promette di rimanere all’apice dell’agenda politica statunitense per molto tempo ancora.
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