Chissà se nel 2003 Mark Zuckerberg si sarebbe mai aspettato una situazione del genere. All’epoca il creatore di Facebook era semplicemente un brillante studente di Harvard, un po’ impacciato ma pieno di risorse. Oggi, 15 anni dopo, è uno degli uomini più ricchi del mondo ma, da qualche giorno a questa parte, anche uno dei più discussi. Non si placano infatti le polemiche relative al datagate che ha coinvolto l’ambigua azienda di raccolta dati Cambridge Analytica che, secondo quanto filtra dall’inchiesta in corso, avrebbe utilizzato i dati fornitigli, tra gli altri, proprio da Facebook, col fine di influenzare le elezioni presidenziali americane e il referendum europeo sulla Brexit. Problemi grossi dunque, che sommati alla ingente perdita economica profilano una situazione altamente complicata da gestire per Zuckerberg, soprattutto adesso che la confraternita della Silicon Valley non lo supporta più.
GIGANTI CONTRO. L’ambiente digitale della Silicon Valley è notoriamente molto affiatato e, nella stragrande dei casi, pone le sue basi nell’ideologia positiva del web come risorsa per tutto il mondo. Famose sono le lotte che hanno visto i colossi di internet fare fronte comune, come accadde ad esempio con l’abolizione della Net Neutrality. Altro argomento molto sensibile sul quale le varie aziende hanno sempre trovato una convergenza è quello della privacy. Internet è libertà, e nessuno dovrebbe poter utilizzare i nostri dati. Seguendo questo principio, tutti i colossi del web si schierarono al fianco di Apple quando, dopo la strage di San Bernardino, l’FBI pretese di poter avere accesso ai dati dell’iPhone dell’attentatore, accesso negato dall’azienda della mela morsicata in nome della sacralità della riservatezza di ognuno. Oggi però quell’esercito indivisibile armato di mouse e tastiere si è spaccato. Il fatto che Facebook abbia avuto una defiance così grave proprio sul terreno della privacy, è qualcosa che risulta difficile da digerire per chi da sempre, invece, si è erto come difensore supremo della vita privata di ogni singola persona sulla Terra. Così, in attesa che le indagini proseguano, il Ceo di Apple Tim Cook è il primo a criticare il comportamento ambiguo tenuto dalla società di Zuckerberg. La vicenda è stata definita dal successore di Steve Jobs come “terribile”, considerando inconcepibile che una qualsiasi azienda possa sfruttare i dati della gente per qualsivoglia scopo, per di più per manomettere la democrazia. Da Apple giunge infine l’auspicio a una norma che possa regolamentare la diffusione dei dati. A Cook fa poi eco l’amministratrice delegata di IBM, Ginny Rometty, la quale ha affermato che qualunque utente dovrebbe essere informato sull’utilizzo di certe strategie. Ma siccome i fatti, molte volte, contano più delle parole, a fare rumore nelle ultime ore è stata soprattutto la mossa del nuovo vate del mondo tecnologico, quell’Elon Musk che sta reinventando il mondo e che ha chiuso gli account Facebook di Tesla Motors e di Space X, due aziende del quale l’imprenditore/genio sudafricano è Ceo. Insomma, non una bella aria quella che si respira al momento nell’ambiente quasi zen della Silicon Valley.
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RISCHIO DEFAULT? Intanto, lungi dal considerare in crisi un colosso il cui valore è di svariati miliardi di dollari, Facebook vede scricchiolare le sue finanze. Al di là del crollo in borsa, ciò che più preoccupa i vertici di Menlo Park sono i contratti pubblicitari che, a seguito dello scandalo, stanno iniziando ad essere bloccati o cancellati. Questo rappresenta per il social site da 2 miliardi di utenti un problema gravissimo: non richiedendo un canone di abbonamento agli utilizzatori, il 98,8% del suo fatturato proviene proprio dalle pubblicità. Non rosee dunque le prospettive per Zuckerberg, che intanto ha annunciato che non comparirà di fronte alla commissione d’inchiesta inglese che indaga sul caso. L’invito a comparire rimane però valido, specialmente negli Usa, dove a breve nuove richieste di comparizione potrebbero riguardare i Ceo di Google e Twitter. Il silenzio col quale le due aziende si sono approcciate al caso, al pari di altri grossi calibri della Silicon Valley come Amazon, fa parecchio rumore, e fa trasparire come, evidentemente, la battaglia sul diritto alla privacy degli utenti sia stata più una mossa di facciata che un impegno concreto per alcune delle società dell’universo digitale. Così c’è da scommettere che il datagate che sta scuotendo il mondo della tecnologia sia solo alle prime battute. La valle incantata della California sta vedendo addensarsi molte nubi, e chissà cosa ci aspetta nei giorni a seguire.
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