Bluetooth è un termine d’importazione anglosassone che è entrato nel vocabolario comune di centinaia di Paesi del mondo, tra cui l’Italia. Una parola che utilizziamo con estrema frequenza, quasi come se avesse allignato da sempre tra le pieghe della nostra lingua invece di essere stata adottata solo da una ventina d’anni. Il Bluetooth è uno strumento di comunicazione tra dispositivi elettronici per lo scambio di dati attraverso onde radio. Basta trovarsi a non molti metri di distanza e connettere i dispositivi per poter scambiare video, immagini o documenti con incredibile rapidità ed efficienza. Sono in tanti, tuttavia, a chiedersi il perché della denominazione “dente blu” che utilizziamo nella nostra routine quotidiana. Si tratta di una storia intrigante che si dipana tra bevute, libri, storie scandinave ed alta tecnologia.
TRA DRINK E SUGGESTIONI STORICHE. La storia del Bluetooth affonda le proprie radici nel 1996 quando un cartello di aziende dell’hi-tech di cui facevano parte Intel, Ericsson e Nokia decise di avviare la creazione di un nuovo standard per la trasmissione di dati senza fili a corto raggio che potesse funzionare anche tra dispositivi di marca differente. Del team che lavorò alacremente al progetto per diversi mesi facevano parte gli ingegneri Jim Kardach della Intel e Sven Mattisson della Ericsson. Il caso volle che nel 1997 i due si vedessero a Toronto per una bevuta ed in quell’occasione, parlando del più e del meno, l’argomento cadde sul libro “Le navi dei vichinghi” di Frans Gunnar Bengtsson che Mattisson aveva appena finito di leggere. Il tomo narrava, tra le tante cose, delle gesta di Aroldo I Dente Blu di Danimarca. Aroldo regnò tra il 940 e il 986 circa e durante il suo dominio riuscì a unificare buona parte della Scandinavia; portò inoltre avanti la conversione verso il cristianesimo del popolo danese. Il sovrano era conosciuto con il soprannome blátǫnn, che significa appunto “dente blu”. Su tale nomignolo, nel corso dei secoli, si successero le elucubrazioni tra chi diceva che il Re avesse un dente cariato e quindi di colore più scuro rispetto agli altri e chi sosteneva che fosse ghiotto di mirtilli, bacca che tende a colorare i denti di una tonalità bluastra. Da questa fortuita discussione nata quasi per caso, i due decisero di proporre il nome “Dente Blu” per la tecnologia che stavano creando per tracciare un parallelismo con la figura storica di Aroldo. Così come aveva fatto il re scandinavo, infatti, il Bluetooth avrebbe contribuito – così come poi è stato – ad unire milioni di persone grazie ai suoi meccanismi di funzionamento. La proposta, a dire la verità, non suscitò grandi entusiasmi e il team di ingegneri era d’accordo sul fatto che questo nome sarebbe stato cambiato. Cosa, però, che non avvenne. Al contrario, per disegnare il logo del Bluetooth, si ricorse nuovamente alla cultura scandinava scegliendo ed unendo due rune, le stesse che vediamo oggi campeggiare sui nostri cellulari, rappresentanti le iniziali di Aroldo (si tratta delle rune ᚼ e ᛒ).
IL TESORO DEL RE. Aroldo è tornato a far parlare di sé anche in tempi recentissimi. A metà aprile, infatti, Luca Malaschnitschenko, 13enne tedesco con la passione per l’archeologia ed il suo mentore, René Schoen, hanno messo a segno una scoperta sensazionale. I due hanno infatti trovato sull’isola di Rugen, nel nord della Germania, quello che soltanto di primo acchito sembrava un pezzo d’alluminio. Si trattava, al contrario, di una moneta d’argento che ha giustificato l’inizio di scavi ben più approfonditi e sistematici. Scavi che hanno portato alla luce un tesoro appartenente proprio al re danese Aroldo I, detto “Dente Blu”. Il team di archeologi ha ritrovato anelli, orecchini, bracciali e altri gioielli, ma anche 600 monete d’argento e un martello di Thor. Il sito è ora considerato “il più importante scavo del Baltico meridionale di monete dell’età del re ”Dente azzurro”. Il tesoro potrebbe essere stato sotterrato verso la fine degli anni ’80 del IX secolo, quando Aroldo fuggì in Pomerania, dove morì nel 987.