C’è chi lo vorrebbe addirittura premio Nobel per la pace. “The Donald”, il presidente degli Usa, è tornato nuovamente alla ribalta dopo gli inaspettati quanto repentini eventi diplomatici tra le due Coree. Certo non è che l’equazione Trump=pace sorga così automatica quando si pensa alla figura istrionica del magnate statunitense. Tant’è che questo confronto con la Corea Del Nord del dittatore Kim Jong-un era iniziato sotto tutt’altre premesse. Molti ricorderanno i toni aspri e arcigni con cui i due leader si apostrofavano fino a qualche settimana fa, tra appellativi dispregiativi pronunciati da Trump (“rocket man”) o le minacce rilanciate da Kim, come il famoso “dito pronto a premere il pulsante”, chiaro riferimento all’arsenale nucleare della Corea del Nord. Cosa è cambiato, dunque, in così poco tempo? Cosa si saranno detti o promessi Trump e Kim nei loro ultimi e recentissimi incontri per arrivare a questo clamoroso ribaltamento del tavolo?
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SI VIS PACEM PARA PACEM. «Se vuoi la pace, prepara la pace». Potremmo parafrasare così il celebre detto latino per adattarlo alle circostanze che stiamo raccontando. Donald Trump ha cambiato la sua politica sulla questione coreana passando dalla linea dura alla sponsorizzazione di un clamoroso trattato di pace che in Corea aspettano dal 1953. Un esito, quello che si profila all’orizzonte, dai contorni incredibili se si considera il carattere del nuovo presidente Usa, certamente poco incline a compromessi o ambasciate. Eppure proprio un’ambasciata sembra aver fatto la differenza nell’invertire la rotta di un conflitto che sembrava sempre più vicino. Durante le vacanze pasquali, infatti, Trump ha inviato a Pyongyang il fedelissimo Mike Pompeo, capo della Cia e segretario di stato in pectore, per avviare un contatto diretto con Kim. Che cosa si sono detti gli ambasciatori dei due paesi probabilmente non lo sapremo mai. Ciò che è certo è la profonda significatività dei contenuti del suddetto incontro, siano essi di natura militare, economica o squisitamente politica, altrimenti non si spiegherebbe lo sblocco di un’impasse che rischiava di degenerare. Aggiungiamo, inoltre, che la nuova linea statunitense va a cozzare con gli interessi e la politica del Giappone, da sempre fautore di una condotta di rigidità e durezza nei confronti di Pyongyang, che rappresenta ancora un alleato prezioso nella regione per gli States. Manovre difficili da decifrare, dunque, ma qualunque cosa si siano detti o promessi Usa e Corea Del Nord, l’esito verso cui stiamo andando è un importantissimo trattato di pace tra le due Coree ed un impegno per la completa denuclearizzazione della penisola. A quest’ultimo proposito, poiché disinnescare l’arsenale bellico di Pyongyang rappresenta certamente un obiettivo prioritario per Trump, è d’obbligo sottolineare come i termini e i tempi di questo disarmo siano tutt’altro che definiti. Dettagli che impongono prudenza considerando i precedenti di un interlocutore come Kim e che potrebbero portarci, da qui a qualche mese, ad altrettanto clamorose marce indietro. È infatti difficile immaginare che il leader Nord Coreano si privi totalmente dell’unico elemento di forza contrattuale che gli ha consentito di resistere finora alle pressione del mondo occidentale. Bisogna infine riconoscere l’altrettanto decisivo intervento dietro le quinte della Cina nel benedire questo accordo coreano. Non a caso, uno degli impegni che le due coree dovranno assumere è quello di «tenere summit trilaterali con gli Stati Uniti – o quadrilateri, con Stati Uniti e Cina – con l’obiettivo di dichiarare la fine della guerra e stabilire un permanente e solido regime di pace».
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LE CURIOSITA’ DEL SUMMIT. Forse in pochi ricorderanno che l’incontro tenutosi a Panmunjom, lo stesso sito in cui fu firmato l’armistizio del 1953, è stato negli anni preceduto da altri due meeting, meno fortunati dell’ultimo, nel 2000 tra il padre di Kim Jong-un, Kim Jong-il, con il premier sudcoreano Kim Dae-jung e nel 2007 con il suo successore Roh Moo-hyun. Una cura maniacale ai dettagli è invece stata riservata al menù servito ai due leader. Un insieme di portate dal valore altamente simbolico così composto: come aperitivo sono stati serviti polipo e frutti di mare di Tongyeong, città natale del musicista e attivista pro-unificazione Yun Isang. Poi fagottini di frutti di mare dello Shinan, la città natale del presidente sudcoreano Kim Dae-jung, morto nel 2009, per proseguire con filetti di pesce porgy e di pesce gatto, i preferiti dei coreani. Degustata anche una scelta di pesce del Busan, città dove è cresciuto Moon, servito alla griglia. Come guarnizione offerto il “rosti”, patate arrosto in stile svizzero, in onore al presidente Kim, cresciuto in Svizzera, e anche spaghetti freddi tipici di Pyongyang. Il dessert ha previsto invece thè di funghi, torta di mandarini della Corea del Sud e una mousse di mango decorato con la raffigurazione di una penisola coreana unificata. Il dolce è stato servito in una ciotola di legno, simbolo dello scontro durante la Guerra Fredda, spaccata con un martello come simbolo dell’inizio della riconciliazione. Il gesto è stato chiamato “Primavera del popolo coreano”, secondo l’agenzia Yonhap. Infine, la stretta di mano tra i due leader è risultata essere l’unico esempio di questo tipo nella storia dei due Paesi.