I pantaloni a forma di vagina sono l’ultimo atto del femminismo pop. Li indossa Janelle Monáe (cantante, attrice, modella, ma soprattutto un’attivista tosta per i diritti delle donne e dei neri vista tra le file di Black Lives Matter e sul palco della Women’s March di Washington) nel video “Pynk”, celebrazione all’ennesima potenza del girl e del pussy power. Nel vibrante video, la discepola di Prince balla in pantaloni “vagina”, organizza una festa in casa per sole donne e c’è anche la presunta fidanzata di Janelle, l’attrice Tessa Thompson, che a un certo punto le sbuca tra le gambe. E a Trump – che una volta aveva buttato lì: «Io le donne le afferro per la fica» – lei risponde con «I Grab Back», mi tiro indietro, stampato su slip dai quali spuntano cespugli spudoratamente incolti.
DAL BIANCO E NERO AI VAGINA-PANTS. “Pynk” fa parte dell’album “Dirty Computer”, terzo lavoro discografico dell’artista neroamericana disponibile in streaming ed in vendita dal 27 aprile. Il disco è soltanto uno dei molti progetti in canna per Monáe che continua anche la carriera da attrice, iniziata nel 2016 con due film pluripremiati agli Oscar come “Moonlight” e “Il diritto di contare” (“Hidden Figures”), e che prosegue con una serie tv targata Amazon Prime, “Philip K. Dick’s Electric Dreams”. Madre bidella e padre spazzino, nata 32 anni fa a Kansas City, prima dei vagina-pants Janelle aveva sempre e solo indossato il bianco e nero: «Una divisa in onore dei miei genitori, che al lavoro sono stati obbligati a portarne una ogni giorno». Eravamo nel 2010 e Janelle Monáe si definiva “The ArchAndroid”, figura messianica che si ispirava alle opere di Hitchcock, Debussy e Philip K. Dick, oltre al film muto “Metropolis” di Fritz Lang. Negli anni successivi, la misteriosa Monáe entra nella sfera di Prince con cui comincia a collaborare e intraprende un percorso distinto nella moda e nel cinema, diventando un’attrice affermata. Adesso si presenta con il terzo album, con il quale Monáe, con perfetto tempismo, si erge a nuova eroina “Black Panther”, emulando il funk gommoso di Prince, l’anima carica di synth di Stevie Wonder, lo zuccheroso R&B dei Jackson 5, gli afrofuturismi e la fantascienza del leggendario pioniere del jazz cosmico Sun Ra, il cui soundworld, ricco di suoni e stridori, annuiva alla vita su altri pianeti. «Stevie Wonder, nonostante sia stato spesso politico, mi ha sempre commosso. Mi ha ispirato, mi ha regalato pace e amore» commenta Janelle parlando dei modelli che l’hanno formata come artista. «Poi Lauryn Hill, che ha ridefinito il ruolo di popstar per tutte noi donne di colore, ci ha reso consapevoli del nostro destino. Erykah Badu, che mi ha insegnato il valore della sorellanza. Il sentimento di sisterhood è importante, noi donne dobbiamo supportarci a vicenda, aiutarci nei tempi difficili».
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I CONSIGLI DI PRINCE. «Prince è sempre stato un idolo. Ho avuto il privilegio di averlo come produttore nel mio album “The Electric Lady”. È sempre stato un genio, uno dei primi a scoprirmi, quando ho pubblicato “Metropolis”, il mio primo Ep. Mi ha invitato a casa sua, sapeva che avevo la mia etichetta, che lavoravo con Sean Combs e Atlantic. Voleva solo darmi dei consigli, mi ha sempre supportato, era fantastico, “The Other”, un alieno. Lui sì che viveva in un altro mondo. È difficile per me parlare anche di questo perché Prince mi stava aiutando con l’album. La sua morte improvvisa è stata una pugnalata allo stomaco. L’ultima volta che l’ho visto è stato a Capodanno nel 2015. Ho fatto una festa privata a St Bart’s con lui, e dopo esserci seduti, abbiamo parlato per cinque ore. Era una delle persone con cui avrei parlato di tutto, lui e Stevie Wonder. Dedico molto della mia musica a Prince, per tutto ciò che ha fatto per la musica, i neri, le donne e gli uomini, per coloro che hanno qualcosa da dire».
https://vimeo.com/173113941
RECITARE RIENTRAVA NEI SUOI PROGETTI? «In realtà ho sempre recitato, facevo teatro. Ho scritto anche alcune commedie. Non ho mai pensato di essere solo una cantante, mi considero un’artista poliedrica, mi piace raccontare storie, soprattutto se importanti come queste. Lo sento come un dovere sociale».
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IMPEGNO POLITICO E PANSESSUALITÀ. Molto personali, autobiografiche e intime, le storie raccontate in “Dirty computer”. Come “Django Jane”, grido di battaglia di Monáe, inno di protesta ribelle per le donne in generale (“Ti abbiamo dato la vita, ti abbiamo dato alla luce, ti abbiamo dato Dio, ti abbiamo dato terra”, canta, ispirandosi al libro “La grande madre cosmica” di Monica Sjöo, la sostenitrice svedese del movimento Dea, che sostiene le divinità femminili) e in particolare delle donne afro-americane. Mette in scena l’uomo con un testo forte e impassibile: “Premi il pulsante muto, lascia che la vagina abbia un monologo”. È una delle canzoni più politiche di Monáe fino ad oggi, e anche una delle sue più personali, una rivelazione per un cantante i cui critici hanno definito la sua presenza “cerebrale”, la sua musica “controllata”, il suo aspetto “costruito”. “Django Jane” è «una risposta alle minacce che vengono fatte ai miei diritti come donna, come donna di colore, come donna sessualmente liberata, come figlia di genitori che sono stati oppressi per molti decenni». In “Dirty computer”, l’artista di Kansas City svela anche le sue preferenze sessuali: “I just wanna find the guy/ And I hope she loves me too” (Voglio solo trovare l’uomo giusto, e spero che anche lei mi ami) canta in “Crazy, Classic Life”, seconda traccia dell’album, ribaltando così nel giro di due versi le aspettative e dichiarando serenamente il suo interesse per uomini e donne. Lei tiene tuttavia a precisare che sta ancora esplorando la sua sessualità, e che la definizione “pansessuale” è quella che la fa sentire più a suo agio adesso. Per pansessualità si intende l’attrazione per qualsiasi persona. Tendenze che vanno in parallelo con i suoi gusti musicali. Che spaziano dai cori alla Beach Boys, orchestrati da Brian Wilson, nel brano iniziale che dà il titolo all’album, al rap ed a echi di pop anni Ottanta, da ritmi afro mescolati a divertissement in coppia con Pharrell Williams fino a ballate sussurrate (“Don’t Judge Me”) e struggenti (“Afraid”) sul finire dell’album. Sensuale, romantica, aggressiva, ironica, feroce, dolce, misteriosa, fragile e dura allo stesso tempo. È nata una nuova diva?