«L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro»… e il primo maggio dovrebbe ricordarcelo. L’art.1 della nostra Carta Costituzionale rappresenta uno dei perni sui quali si regge l’architettura istituzionale del nostro Paese. Parole radicate nelle coscienze di tanti, corroborate dal sacrificio di chi ha combattuto e versato il proprio sangue per la nascita dell’Italia che conosciamo oggi. Ma quanto è attuale il dettato costituzionale? A leggere i recentissimi dati Eurostat sulla disoccupazione nel nostro Paese qualche dubbio a riguardo sembra più che legittimo. In particolare, i dati fotografano una situazione ancora desolante nel Sud Italia dove quattro regioni su tutte, Calabria, Sicilia, Campania e Puglia, conquistano la poco ambita maglia nera fra le zone d’Europa con il maggior tasso di disoccupazione (rispettivamente 21,6%, 21,5%, 20,9% e 19,1%). Quando si parla poi di disoccupazione giovanile le percentuali salgono vertiginosamente. Se il dato nazionale è fermo al 34,5% con un lieve miglioramento rispetto al 38% dell’anno precedente, nelle già menzionate regioni del meridione si supera abbondantemente la soglia del 50%, un panorama desertificato. Tuttavia, i temi che si intrecceranno in questo crocevia di storie e appuntamenti che sarà il primo maggio, esulano dalla semplice questione della mancanza di lavoro. In piazza, tra canti, balli e rivendicazioni verranno rappresentate le preoccupazioni, i dolori, i drammi e le speranze spesso frustrate di tante generazioni di lavoratori che oltre allo spettro della disoccupazione devono quotidianamente fare i conti con le morti sul lavoro, con la flessibilità applicata al lavoro, con l’informatizzazione e la digitalizzazione del lavoro, con un mondo in continua evoluzione che minaccia di stritolarli dentro ai suoi ingranaggi fatti di numeri, austerità, competitività.
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OLTRE MILLE MOTIVI PER LA SICUREZZA SUL LAVORO. 1.029 sagome bianche, campeggiano in piazza San Silvestro a Roma in questo primo maggio che guarda sempre di più ai temi della sicurezza sui luoghi di lavoro. D’Altronde sia i sindacati maggiori che il Presidente della Repubblica nonché altre personalità di spessore, attive in vari ambiti, hanno da tempo richiamato l’attenzione dei datori di lavoro sulla necessità di un radicale cambiamento culturale. Prevenzione e rispetto delle regole, come sottolineano in tanti, appaiono come le stelle polari da seguire per invertire questa macabra tendenza che non accenna a diminuire di anno in anno. Non a caso pochi giorni fa, il 28 aprile, ricorreva la giornata mondiale sulla salute e la sicurezza sui posti di lavoro promossa dall’Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro). Un tema che è possibile ritrovare anche in importanti documenti internazionali come l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile in cui all’obiettivo 8.8 si afferma l’importanza di “proteggere i diritti dei lavoratori e promuovere ambienti di lavoro salubri e sicuri per tutti i lavoratori”.
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IL LAVORO AI TEMPI DELLA GLOBALIZZAZIONE. Pensare al mondo del lavoro come un universo stabile ed in equilibrio potrebbe rivelarsi parecchio distante dalla realtà. La modernità liquida che stiamo vivendo è dominata dalla velocità, dall’autoriforma continua, dal cambiamento improvviso ed imprevedibile. Il lavoro non sfugge a queste dinamiche. Mutano le competenze, mutano gli strumenti, muta il “know-how”. L’obsolescenza è un concetto sempre più attuale nel lavoro contemporaneo dove mestieri e saperi rischiano di scomparire da un anno all’altro. Una dimensione che non riguarda soltanto la difficoltà di accesso al mondo del lavoro ma anche chi un lavoro già ce l’ha e deve formarsi e “ri-formarsi” per mantenerlo ed evitare di essere sostituito da un collega con maggiori competenze o addirittura da una macchina. È il cosiddetto “reskilling”, per dirla all’inglese. A questo proposito, almeno un ruolo su cinque nel mondo aziendale cesserà di esistere nei prossimi cinque anni. Lo afferma il report globale realizzato da Mercer – Unlocking Growth in the Human Age – che ha messo a confronto oltre 7.600 dipendenti, Hr Manager, Executive e Board Members di 57 Paesi, tra cui l’Italia, sui cambiamenti del mercato del lavoro nei prossimi cinque anni. Uno dei fattori di questa conversione del mercato è certamente la digitalizzazione e la meccanizzazione. Un esempio banale potrebbe essere rappresentato dai lavoratori ai caselli autostradali, quanti di loro sono stati o stanno per essere sostituiti da casse automatiche? Sono posti di lavoro che piano piano scompaiono e potrebbero essere sostituiti da nuovi ruoli nell’ambito della manutenzione e della programmazione di siffatti macchinari. Il lavoro sta cambiando e sembra opportuno chiedersi il fine che ci proponiamo di raggiungere attraverso il lavoro. Lavoriamo per produrre? Lavoriamo per consumare? Lavoriamo per sopravvivere? O lavoriamo per vivere? C’è chi preconizza un futuro in cui saranno le macchine a svolgere la maggior parte dei lavori svolti oggi dagli esseri umani, qualora dovesse realizzarsi, quali nuove caratteristiche comporterebbe questa rivoluzione, definiamola “robotica”, per i lavoratori che ne vivranno gli anni? Un altro concetto chiave associato spesso al lavoro contemporaneo è quello di flessibilità. Un mantra che molte aziende hanno ormai assimilato e che ha comportato negli anni minori tutele per i lavoratori, orari di lavoro sempre più frammentati, la disponibilità a ricollocarsi in altre sedi lavorative in un breve lasso di tempo, contratti a tempo determinato sempre più brevi. Flessibilità che fa, dunque, rima con precarietà e costituisce un freno per la nascita di nuove famiglie e per l’innalzamento dei tassi di natalità in un paese che diventa sempre più vecchio. La flessibilità però non riguarda soltanto la possibilità di lavorare da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, ma anche il fatto di ripensare quale lavoro venga svolto, come e da chi.
GLI APPUNTAMENTI DEL PRIMO MAGGIO. Per celebrare la giornata internazionale dei lavoratori, istituzionalizzata in Italia nel 1890 a seguito delle battaglie dei delegati italiani della Seconda Internazionale Socialista, saranno organizzati come di consueto concerti e manifestazioni in tutte le grandi città. Spiccano in particolare i programmi di Milano e Roma. Nel capoluogo lombardo si partirà con un corteo organizzato da tutte le sigle sindacali maggiori che si snoderà da Porta Venezia dalle 9.30 per proseguire lungo via Palestro, piazza San Babila, corso Matteotti e via Case Rotte, fino a raggiungere piazza della Scala. Il titolo del corteo, emblematico, è «Sicurezza: il cuore del lavoro». E per pretendere sicurezza ci saranno anche le associazioni dei giornalisti a sfilare nel corteo milanese dopo i recenti attacchi intimidatori a cronisti e reporter che danno la misura di quanto rimanga pericoloso fare giornalismo d’inchiesta in Italia. Il corteo rappresenterà anche ulteriori dimensioni dell’insicurezza del lavoro lombardo. Vi sfileranno lavoratori che in questo periodo, nella metropoli più europea d’Italia, stanno vivendo crisi aziendali che provocano un altro tipo di insicurezza: quella del proprio reddito, del proprio futuro. Dai dipendenti Valtur a quelli dei negozi vuoti (e chiusi) della Trony e di altre catene dell’elettronica. Dai preoccupati lavoratori di “ItaliaOnline” a quelli che gestiscono biglietterie e bookshop del Cenacolo, che hanno rinunciato a scioperare durante il Salone del mobile in cambio della promessa di mediazione da parte del Comune. E poi ci sono i reduci della Colgar di Cornaredo, dopo la decimazione decisa dalla proprietà cinese, e i colloqui «invasivi» all’Italtel, dove il nuovo azionista di maggioranza (Exprivia) punta a tagliare di parecchio gli organici. A Roma spazio all’ormai classico concertone che viene organizzato da Cgil, Cisl e Uil dal lontano 1990. Tra le star che si esibiranno quest’anno a partire dalle 15 fino alle 24 in piazza San Giovanni ci saranno, tra gli altri, Gemitaiz, Ultimo, Le Vibrazioni, Lo Stato Sociale, Francesca Michelin, Carmen Consoli, Max Gazzè, Ermal Meta e Gianna Nannini.