Donald Trump e la società occidentale in generale, capitanata dal proprio Stato guida, gli Usa, perseguono ormai da tempo un solo obiettivo: occidentalizzare l’oriente. Questo però non sembra assolutamente intenzionato a sottostare a questa presa di posizione, e risponde per le rime. Così nelle ultime ore sono arrivate dure accuse agli Stati Uniti da parte della Corea del Nord e dell’Iran. E in un periodo in cui avanza una guerra commerciale destinata a non lasciare prigionieri contro una delle economie oggi più forti al mondo, la Cina, e che coinvolge anche lo storico alleato europeo, il tycoon sembra mostrare i propri limiti politici.
IRAN. Dalla rivoluzione islamica del 1979, con la cacciata dello Scià e la crisi degli ostaggi, i rapporti tra Usa e Iran sono stati costantemente tesi. L’espansione dei persiani in campo nucleare, specialmente sotto l’amministrazione di Ahmadinejad, ha causato poi un inasprirsi del dualismo tra lo Stato guida occidentale e quello che vorrebbe essere il suo corrispettivo orientale. Questa escalation è durata oltre 30 anni, ma durante l’amministrazione Obama, la diplomazia a stelle e strisce e quella iraniana avevano raggiunto un importante accordo proprio sulla proliferazione del nucleare nella terra che fu tra le culle della civiltà. Tuttavia, finito il ciclo Obama, il nuovo presidente Trump ha gettato alle ortiche la grandissima maggioranza dei progetti messi in cantiere dal primo afroamericano alla Casa Bianca. Così, oltre ad accordi molto importanti come quello sul clima, The Donald ha cestinato anche il riavvicinamento all’Iran. Del resto fare muro per l’ex conduttore di “The Apprentice” è la normalità, e il suo cavallo di battaglia durante le elezioni fu appunto la costruzione del vallo al confine col Messico. Ma l’Iran non resta a guardare, e per bocca del suo presidente, Rohani, ha annunciato che non terrà colloqui con nessuno riguardo ai propri meccanismi di difesa, rincarando la dose affermando che non sono affari di nessuno. Specialmente di quelle poche nazioni che sostengono che l’accordo per il nucleare sia stato un grosso errore. Questi stati, individuati da Rohani come «un piccolo paese e un regime», con riferimento ad Arabia Saudita ed Israele capitanate dagli Usa, affronteranno, stando alle parole del primo ministro, uno storico pentimento. Insomma, in una zona di mondo che tranquilla non è stata mai, non si fa altro che buttare benzina sul fuoco.
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COREA DEL NORD. Eppure Trump nelle ultime settimane si era reso protagonista di un conciliante riavvicinamento agli storici avversari coreani. A dire il vero è stato Kim a correggere il tiro delle sue affermazioni e azioni per primo, ma The Donald si era dimostrato ben disposto al dialogo, dopo i grotteschi fatti di qualche mese fa nei quali i due leader si minacciavano l’un l’altro vantando le dimensioni dei rispettivi arsenali nucleari. Ma ecco il nuovo, e neanche troppo inaspettato, colpo di scena: la Corea del Nord ha attaccato nuovamente gli Usa. In una nota il governo di Pyongyang ha bacchettato, definendo fuorvianti le dichiarazioni, gli Stati Uniti, i quali si sono vantati di essere i principali artefici del riavvicinamento tra le due Coree grazie alle sanzioni inferte ai nordcoreani. Kim Jong-un può essere infatti anche disposto al negoziato, ma che non si dica che sono stati i nemici di una vita a costringerlo. E allora via a sfruttare questo evento per accusare di nuovo gli americani, questa volta rei di aver condizionato negativamente il dialogo tra le due nazioni sorelle ma divise. Una nuova pagina della telenovela.
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CINA ED UE. Ma le grane in politica estera non terminano qui per Trump. La guerra commerciale intentata nei confronti della Cina, che rischia di avere ripercussioni molto pericolose per gli stessi States stando a sentire le teorie di eminenti economisti, sta mettendo in seria difficoltà anche i rapporti con gli alleati europei. Se infatti i cinesi sono da sempre considerati fondamentalmente ostili, al di là dei vertici diplomatici e degli accordi, l’Unione Europea è invece amica degli americani, e con essi intrattiene importanti relazioni economiche. Si rischia così un nuovo muro contro muro. La politica ultraprotezionistica del presidente degli Stati Uniti, oltre che anacronistica per un mondo la cui economia è sempre più globalizzata, rischia di indebolire più che rafforzare gli Usa. Non sembra essere una mossa saggia quella di sfidare l’economia cinese, che anno dopo anno diventa sempre più potente ed egemone. Né sembra sensato indebolire l’alleato del Vecchio Continente, rendendolo nelle intenzioni se non un satellite, un pozzo dal quale attingere alla bisogna. Se sul fronte interno sembra dunque riscuotere successi, all’estero l’amministrazione Trump sta facendo terra bruciata, col rischio sempre pronto dietro l’angolo di un’escalation militare. Così l’unica azione multilaterale intentata in questi primi 15 mesi di presidenza, risulta essere l’attacco in Siria, ovvero un atto di guerra. Senza considerare anche le storie tese con la Russia, in un clima da Guerra Fredda, sembra necessario un cambio di rotta, perché fin qui la strategia del passo del gambero, all’indietro, rischia di essere troppo vecchia per un mondo nuovo.