L’Iraq interessato dalle elezioni nelle ultime ore non è più il Paese gestito con lucida e barbara ferocia da Saddam Hussein. Dietro la spessa e asfissiante cortina rappresentata dalla dittatura baathista terminata nel sangue nel 2003, covavano latenti le divisioni settarie di natura etnica e religiosa che hanno precipitato il Paese in una continua spirale di sangue venuto meno lo spauracchio della repressione del regime che, pur nella sua durezza e nelle sue continue violazioni dei diritti umani, era riuscito a tenere insieme un popolo profondamente diviso. La sfida che può essere raccolta nelle prossime ore e nelle prossime settimane dal nuovo Iraq, liberatosi dallo spettro di una nuova dittatura, questa volta di matrice islamista radicale e targata Isis, è quella di iniziare un processo di nation-building dove le varie anime del Paese possano convivere all’insegna del pluralismo e del dialogo non violento, libere da pressioni internazionali, prima fra tutte quella dell’Iran. Ha poi suscitato sorpresa e curiosità la candidatura di Muntadhar al-Zaidi, il giornalista iracheno che lanciò le sue scarpe contro il presidente Usa George W. Bush.
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IL QUADRO POLITICO. L’Iraq è un Paese dalle ferite non ancora rimarginate, lo dimostra l’attentato che questa mattina ha sconvolto le operazioni di voto nei dintorni di Kirkuk e che è stato rivendicato dai vessilli neri del califfato islamico. Una guerra, quella vinta contro l’Isis, durata tre anni, dal 2014 al 2017, che si trascina ancora dietro strascichi velenosi e mortali. 24 milioni di iracheni sono chiamati ad eleggere il Consiglio dei rappresentanti, il parlamento iracheno, con una legge elettorale di tipo proporzionale. Il Consiglio a sua volta nominerà il Presidente ed il Primo Ministro dell’Iraq. Le rivendicazioni politiche si mescolano con le identità etnico-religiose delle coalizioni in lizza, principalmente quelle sunnite, sciite e curde. Sono 5 le coalizioni ai nastri di partenza. La prima è capeggiata dal premier uscente Haidar al-Abadi noto per la propria politica di pacificazione nazionale e mirata all’indipendenza da influenze esterne. La seconda coalizione sostiene Nouri al-Maliki, ex premier, sul cui passato pesa l’iniziale sconfitta subita dalle truppe dell’Isis che gettarono il Paese nel caos dopo la conquista di Mosul. La terza coalizione è guidata da Hadi al-Amiri, vicinissimo all’Iran e fautore di una politica fortemente conservatrice. Amar al-Hakim è il quarto pretendente, rappresenta una coalizione giovane che guarda ai giovani, nata appena nel 2017. Infine i comunisti che presentano Muqtada al-Sadr. L’esito delle consultazioni rimane incerto, il premier uscente Al-Abadi sembra detenere i favori del pronostico, bisognerà però verificare se, ad urne chiuse, sarà capace di costruire una maggioranza parlamentare in un contesto politico che si preannuncia, per usare un eufemismo, frastagliato. In passato l’Iraq aveva sempre avuto il sostegno politico di Iran e Usa, ma le recenti tensioni tra i due Stati dovute alla politica estera aggressiva di Donald Trump, risultata nell’uscita degli Stati Uniti dal trattato sul nucleare, potrebbe complicare ulteriormente le cose. L’indipendenza del nuovo Iraq da influenze esterne, come si diceva prima, sarà una delle principali preoccupazioni del nuovo premier. Più L’Iraq si dimostrerà coeso e plurale, minori saranno le chances di interferenza di paesi terzi come il vicino Iran.
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IL GIORNALISTA ANTI BUSH. Dieci anni passano in fretta ma certe immagini rimangono impresse nella memoria per molto più tempo. È il caso delle due scarpe lanciate contro George W. Bush da Muntadhar al-Zaidi, che a quei tempi lavorava per la rete televisiva irachena al-Baghdadia, durante una conferenza stampa congiunta tra il presidente Usa e l’allora premier iracheno Nuri al-Maliki avvenuta nel 2008 su suolo iracheno. Al-Zaidi al primo lancio urlò: «Questo è il bacio di benvenuto per te da parte del popolo iracheno, cane!». Al secondo, disse: «E questo è per le vedove e gli orfani e tutti i morti in Iraq». Dopo l’episodio il giornalista fu prontamente immobilizzato dalla sicurezza e successivamente condannato a tre anni di carcere per l’accaduto. La pena fu poi ridotta per buona condotta prima a un anno e poi a nove mesi. Fu comunque rilasciato il 15 settembre del 2009. Lasciò il paese lo stesso anno e vi ritornò nel 2011. Oggi si ripresenta con un programma d’assalto contro la corruzione e contro l’influenza americana sulla nazione e mirato alla riforma del sistema giudiziario ed al riconoscimento di maggiori diritti alle donne. Al-Zaidi, oggi 39enne, ha sempre denunciato le torture e gli abusi subiti in carcere per il suo gesto, tanto da riportare la rottura del naso, di un piede e di alcuni denti. «La gente è felice e dice di sostenermi – ha affermato al-Zaidi a Nbc – gli iracheni sono stufi della politica. Se fossi eletto farei di tutto per aiutare la mia gente. Manderei i politici corrotti in carcere e non lascerei che l’Iran interferisca con gli affari dell’Iraq».