L’aborto equivale a un omicidio. È questa l’equazione che si può dedurre dal manifesto degli ultra-cattolici affisso nelle vie di Roma che precede di pochi giorni la “marcia per la vita” che sarà organizzata da svariate sigle nella Capitale ed in altre città del mondo. In Italia, non è bastato il referendum del 1981 che ha definitivamente sancito il riconoscimento alle donne del diritto di interrompere una gravidanza e di farlo in condizioni di assoluta sicurezza, fisica e psicologica. Un assioma da sempre contestato da una parte degli ambienti cattolici che continua a criminalizzare questa pratica e vorrebbe che fosse dichiarata nuovamente illegale a 40 anni di distanza dalla legge 194 che ha rappresentato una forte spinta emancipatrice delle donne in tal senso.
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IL MANIFESTO SHOCK. “L’aborto è la prima causa di femminicidio nel mondo”. È la scritta che campeggia a lettere cubitali sul pancione ritratto nel manifesto della discordia. La prima osservazione che sorge spontanea dall’analisi del messaggio dei gruppi pro-life è l’inesattezza semantica in esso contenuta. L’aborto, se volessimo seguire la linea di pensiero di chi ha affisso il manifesto, si potrebbe classificare come infanticidio ma sicuramente non come femminicidio. Al contrario, proprio l’introduzione dell’aborto legalizzato ha permesso di abbattere la mortalità di questo intervento chirurgico così come confermato, ad esempio, dallo studio effettuato dall’Università della California e di San Francisco, datato 2014, secondo cui la pratica dell’aborto in clinica non presenta rischi maggiori dell’estrazione di un dente del giudizio. L’aborto presentava molte più complicazioni quando veniva praticato clandestinamente in passato con i drammatici risultati che tutti conosciamo. Ma l’affissione del manifesto può essere letta anche come attacco al femminismo e, indirettamente, ai principi della parità di genere che trova poco spazio in un’ideologia che vede la donna in un ruolo subalterno rispetto alla controparte maschile o comunque con molte meno libertà. Il movimento che ha voluto l’affissione del cartellone, che trova in Mario Adinolfi, direttore del giornale “La Croce”, uno degli esponenti di spicco, è lo stesso che ha sostanzialmente crocifisso via web una giovanissima ragazza 19enne, Gabriella, morta al Cardarelli di Napoli due anni fa per la gravissima “colpa” di aver voluto abortire. Ciò che preoccupa in merito al tema aborto è, invece, il numero ancora molto alto di medici che si dichiarano obiettori di coscienza, una vera e propria iattura per tante mamme che in un sistema sanitario caratterizzato da liste d’attesa sature ed interminabili continuano a trovare estreme difficoltà ad accedere ad un aborto sicuro. Fattispecie che continua ad alimentare un mercato clandestino dell’interruzione di gravidanza dove vengono sperimentate soluzioni sempre più fantasiose e pericolose come la massiccia assunzione di farmaci, ad esempio il Cytotec, un anti-ulcera, che hanno come effetto quello di compromettere il processo di crescita dei nascituri con gravi rischi per la salute delle ragazze che intendono abortire.
LE REAZIONI. Non sono mancati gli interventi della società civile e delle organizzazioni, come quelle sindacali. «Un messaggio medievale, intriso di ottuso oscurantismo, che colpevolizza le donne rispetto a un tema, quello del femminicidio, di cui sono le sole vittime – si esprime così la Fp Cgil nazionale – Una vicenda intollerabile non solo per l’accostamento dei temi, ovvero ‘aborto-femminicidio’, ma che si rende ancora più grave a pochi giorni dal quarantesimo anniversario della legge 194. La strumentale quanto barbara associazione – aggiunge il sindacato – dimostra il totale disprezzo nei confronti delle donne da parte di chi si è fatto promotore di questo messaggio. E sottende una totale ignoranza dei fatti, riportandoci dietro di quarant’anni e oltre, prima della 194, quando le donne erano sì vittime ma nelle mani di sadici aguzzini che praticavano loro l’aborto. La denuncia di questi fatti, che si ripetono con troppa frequenza, non basta più. Serve non solo rimuovere immediatamente i manifesti apparsi nelle strade di Roma ma soprattutto rilanciare una nuova battaglia culturale, a partire dai quarant’anni della 194. Una legge che va non solo difesa ma applicata, nella sua interezza». Il Comune di Roma non è rimasto sordo agli appelli e per bocca di Andrea Coia, presidente della Commissione capitolina sul Commercio, ha fatto sapere di «stare valutando ma a occhio penso che lo rimuoveremo a breve – ha affermato Coia – come abbiamo fatto pochi mesi fa su un’affissione simile sullo stesso argomento. Ovviamente – ha specificato lo stesso presidente della Commissione Commercio – non esiste un controllo preventivo rispetto ai contenuti delle affissioni, anche perché diventerebbe una specie di ‘ufficio censura’, e questo non è accettabile. Ci si affida alla coscienza dei privati che acquistano gli spazi e nel caso si interviene, su segnalazione, il prima possibile».
L’ABORTO SELETTIVO. Sullo sfondo rimane però un punto giustamente sollevato dal manifesto della discordia: l’aborto selettivo. Sono, infatti, moltissimi i Paesi nel mondo in cui si decide di non far nascere bambine piuttosto che bambini poiché le prime sono viste come un onere economico, essendo destinate a divenire spose e ricevere dunque una dote da parte della famiglia da portare al futuro marito, ed i secondi, al contrario, sono visti come futura forza lavoro e quindi possibile fonte di ricchezza. Una piaga diffusa, ad esempio, in India o in tantissime zone dell’Africa rurale. Si stima che siano circa 63 milioni le bambine che scompaiono nel mondo ogni anno per questa pratica. Tuttavia, se il contenuto della denuncia può essere condivisibile, appare sbagliato il fine ed il tono della denuncia stessa dato che gli strumenti più efficaci contro questi fenomeni sono di natura culturale e sociale, come la costruzione di scuole dove le bambine possano studiare, l’apertura di progetti di micro-credito per le madri, il portare in dono alberi da frutta e animali da latte, come a dire che la nascita di una bambina non è l’arrivo soltanto di una bocca da sfamare, ma una ricchezza.