Forse qualcuno ha ripreso a produrre i gas serra che causano il buco nell’ozono. L’anomalia è stata segnalata da una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Nature, grazie a uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), l’agenzia degli Stati Uniti che si occupa di oceani e meteorologia. Un rallentamento anomalo nella riduzione di un tipo di clorofluorocarburi, Cfc-11, fa sospettare che in qualche paese sia ripresa la produzione dei componenti chimici responsabili del buco dell’ozono, in violazione all’accordo internazionale di Montreal ratificato da praticamente tutti i paesi del mondo quasi trent’anni fa. I ricercatori statunitensi del Noaa ritengono che la fonte inquinante si trovi in Asia orientale, ma non è facile localizzarla.
IL BUCO DELL’OZONO. I colpevoli sono i clorofluorocarburi, sostanze chimiche industriali che avevano trovato largo impiego come agenti refrigeranti nei frigoriferi e nelle bombolette spray fino a quando sono stati banditi dal protocollo di Montreal del 1989. Una ricerca del tempo indicava i clorofluorocarburi come i principali responsabili dell’assottigliamento della fascia di ozono, il gas che avvolge il nostro pianeta e che contribuisce a proteggerlo e proteggerci dai raggi solari ultravioletti. Da allora il trend è stato quello di una diminuzione progressiva di questi gas vietati nell’atmosfera. Ma negli ultimi anni questa tendenza si è invertita facendo propendere i ricercatori statunitensi a una ripresa nella produzione di queste sostanze chimiche vietate.
LO STUDIO. I ricercatori del Noaa hanno notato che tra il 2002 e il 2012 il Cfc-11 si è ridotto di 2,1 parti su mille miliardi ogni anno, ma che la sua riduzione è poi rallentata. Tra il 2015 e il 2017 si è infatti attestata a una sola parte su mille miliardi all’anno. Utilizzando modelli matematici e simulazioni, i ricercatori hanno concluso che parte dell’anomalia riscontrata può essere solo spiegata da un aumento di emissioni di Cfc-11 nell’Asia orientale. Nei primi anni 2000 la quantità di Cfc immessi in atmosfera era pari a circa 54mila tonnellate. I ricercatori stimano che un aumento di 6.500-13.000 tonnellate nell’Asia orientale possa essere sufficiente per rallentare la riduzione globale dei Cfc. Anche se con molte cautele, lo studio non esclude che l’aumento possa essere dovuto alla produzione di nuovi Cfc, in violazione del protocollo di Montreal. L’accordo ratificato nel 1989 prevede che ogni nazione tenga sotto controllo la produzione di clorofluorocarburi e che periodicamente fornisca i propri dati alle Nazioni Unite. Da qualche parte nell’Asia orientale potrebbe esserci un problema nella gestione dei controlli, con il risultato di avere reso possibile la produzione illegale di nuovi gas dannosi per l’ozono. Gli attuali sistemi di rilevazione non consentono di identificare più accuratamente la fonte, quindi non è possibile il Paese dove avviene la violazione. La speranza è che la ricerca induca a chiedere controlli più accurati alle nazioni sospettate di non avere vigilato a sufficienza sulle loro attività industriali.