Uno stupro derubricato ad “un’azione di 20 minuti”. Sono queste le parole che il padre di Brock Turner ha pronunciato per difendere il figlio nell’ormai noto “caso Stanford” che ha suscitato una marea di polemiche provocando la rimozione del giudice Aaron Persky dopo la sua sentenza con la quale ha inflitto soltanto 6 mesi (tre effettivi di carcere) al giovane colpevole. Un caso che ha fatto parlare di sé soprattutto per la scarsa considerazione della gravità del reato di stupro manifestata da parte di chi rappresentava l’autorità giudiziaria e da parte della famiglia del colpevole. Se da un lato il padre di Brock Turner affermava che «20 minuti di azione non potevano compromettere la vita di un giovane di vent’anni» riferendosi alle aspirazioni olimpiche del figlio, nuotatore professionista, dall’altro sono state recentemente pubblicate le parole della giovane vittima dello stupro che ha espresso in maniera vivida ed emozionante la profonda violenza psicologica, oltre che fisica, subita ed il processo di progressiva perdita della propria identità attivatosi dopo quella notte maledetta. «Mi hai reso una vittima – ha affermato la ragazza – nei giornali il mio nome è stato “donna incosciente e ubriaca”, 10 sillabe, e nulla più di quello. Per un po’, ho creduto che quello fosse tutto ciò che sono. Ho dovuto sforzarmi di imparare nuovamente il mio nome, la mia identità».
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LE CIRCOSTANZE. Ciò che è successo a Stanford nel 2015 rappresenta la drammatica quotidianità di tanti notti bruciate nell’alcol e immerse negli eccessi. La violenza perpetrata da Brock Turner ai danni della sua giovane vittima si è consumata durante un party universitario, colto in flagrante da due colleghi mentre commetteva l’abuso. Le richieste iniziali degli inquirenti furono molto pesanti, 6 anni di reclusione. Ma il ventenne poteva rischiarne fino a 14. Di diverso avviso è il giudice della contea di Santa Clara, Aaron Persky, che nel valutare il caso ha ritenuto di maggior peso le tesi espresse dalla famiglia Turner, molto ricca e molto conosciuta in quel fazzoletto di America. E così una violenza sessuale ai danni di una donna è stata punita con appena 6 mesi di reclusione più l’iscrizione in uno speciale registro tenuto dalle forze dell’ordine per identificare coloro che commettono reati legati alla violenza sessuale. La società civile della contea di Santa Clara non ha però voluto saperne di accettare senza reazioni una simile decisione. È così partita la “recall campaign” sostenuta, tra gli altri, da Michelle Dauber, professoressa di legge all’università di Stanford che ha raccolto ben 30.000 firme ed ha consentito all’elettorato di votare per la conferma o per la revoca del giudice Persky. Plebiscitario il risultato con ben il 59% dei voti per la revoca. Una dimostrazione plastica di come la questione della violenza di genere sia molto sentita anche oltre oceano con un forte movimento popolare che non vuole si banalizzino tematiche così delicate.
IL RECALL. Nel sistema giudiziario americano sono diversi i giudici che assumono la propria carica per elezione e non per concorso. Questa circostanza consente al corpo elettorale di poterli eventualmente revocare qualora si ritenga abbiano agito in maniera difforme dalle prescrizioni normative. In realtà il giudice Persky era stato ritenuto innocente rispetto all’accusa di aver agito in maniera difforme dalla legge ma il corpo elettorale non gli ha comunque perdonato una sentenza che ai più è parsa troppo leggera. L’istituto del recall è presente in tante democrazie occidentali e permette agli elettori di rimuovere politici o altre figure pubbliche prima della scadenza naturale del proprio mandato qualora si ritenga non rispettino le promesse fatte o i doveri connessi al proprio ruolo. Uno strumento di democrazia diretta che presenta lati negativi e lati positivi. Se da un lato potrebbe rappresentare un efficace strumento di contrasto a fenomeni come quello della corruzione, dall’altro rischia di creare delle distorsioni non secondarie. A livello politico si avrebbero amministratori sotto la perenne spada di Damocle della revoca che li potrebbe spingere a realizzare solo ciò che conviene elettoralmente e non ciò che ritengono giusto per il benessere collettivo. A livello giudiziario verrebbe intaccata l’obiettività e la neutralità che un giudice dovrebbe costantemente avere a prescindere da ciò che pensa la maggioranza in determinate circostanze storiche e sociali