I Pearl Jam sono una macchina da guerra del rock. Lo stadio Olimpico di Roma, gremito da persone provenienti da tutto il mondo, è in estasi quando a mezzanotte e mezza Eddie Vedder saluta per l’ultima volta dopo tre ore abbondanti di concerto senza sosta. Guai a dare per finiti questi eterni ragazzi del rock, che riuniscono sotto la loro più che ventennale avventura ormai tre generazioni di appassionati. E probabilmente ne conquisteranno molte altre.
LA SERATA. Nel 1982 Mick Jagger si esibì a Torino con gli Stones indossando la maglia di Paolo Rossi novello campione del mondo. Trentasei anni dopo ci sono sempre i Mondiali ma senza l’Italia. Il pallone nel Belpaese è però troppo importante, e allora i fan in attesa di Vedder & Co., ammazzano il tempo gustandosi il decisivo Argentina-Nigeria. Spettacolo nello spettacolo viste le prodezze di Maradona sugli spalti di San Pietroburgo. Ma le migliaia di persone giunte all’Olimpico hanno occhi e orecchi solo per i Pearl Jam, che con un quarto d’ora di ritardo entrano in scena: una intro di piano di circa un minuto e poi eccoli i ragazzi di Seattle, che esordiscono con “Realese”. Lo stadio si scalda e con esso la voce di Vedder, che anche nella serata romana si esibisce in un italiano incerto ma parecchio apprezzato. Il frontman ricorda il concerto del ’96, celebrandolo come uno dei più importanti della band, che tuttavia è mancata dalla capitale per ben 22 anni. Prima di ieri sera. Prima di uno show indimenticabile. Se le prime canzoni sono calme e sincopate, ecco che si cominciano a infiammare le polveri con “Corduroy”, prima del definitivo decollo della serata con “Do The Evolution”, pezzo super rock con cui Vedder, finalmente, scioglie definitivamente i dubbi sulle condizioni della sua voce emersi dopo il forfait londinese di qualche giorno fa. E il resto della band gli va dietro egregiamente: Mike McCready regala assoli strepitosi per tutto il concerto, Stone Gossard è preciso e regala anche un’esibizione canora al pubblico, al pari di Matt Cameron, ieri giunto al ventennale con i Pearl Jam (celebrata con una canzoncina cantata da Eddie Vedder che intonava “We love Matt Cameron), straordinario batterista e musicista a tutto tondo capace di regalare sempre la combinazione giusta dietro le pelli e mettendoci dentro anche i cori, sorretto nella parte ritmica da un Jeff Ament sempre chirurgico al massimo. Basterebbe la descrizione di questi favolosi musicisti a far capire l’andazzo della serata, ma c’è molto di più.
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INFINITI. I Pearl Jam sono ormai tutti oltre i 50 anni. Eppure sembrano dei ventenni. L’energia che riescono a sprigionare ad ogni canzone è incredibilmente fuori dal comune: McCready e Ament saltano come pazzi, e Vedder, anche quando alla voce lo sostituiscono Gossard e Cameron, sembra tarantolato. Ricordando un episodio successo qualche decina di anni fa in un suo viaggio a Roma, il leader dei Pearl Jam è sul punto di raccontare un aneddoto che sarebbe potuto diventare leggendario, trascinato dall’atmosfera magica dell’Olimpico, ma poi si ricorda che, evidentemente, l’evento potrebbe, parole sue, «rendere qualcuno arrabbiato» scherza, e preferisce farsi un drink. Ma è solo una breve pausa di una serata che procede a ritmi infernali. Lo spettatore malizioso potrebbe immaginare che sia una tattica per terminare quanto più in fretta possibile lo spettacolo, ma non è così: Vedder & Co. sono una vera e propria macchina da guerra del rock, e vanno avanti senza soste successo dopo successo, facendo gustare alla platea anche il nuovo singolo “Can’t Deny Me”. Ieri sera al pubblico dell’Olimpico sono stati regalati quasi tutti i pezzi leggendari del gruppo: dalla potente “Even Flow” alla struggente “Jeremy” (che in chi scrive ha causato più di una lacrima), passando per la romantica “Black” e la storica “Alive”, pezzo che ha fatto conoscere la band al mondo, con delle rarità, come il pezzo solista alla voce di Matt Cameron che si è esibito in questa maniera appena per la seconda volta nei suoi 20 anni con la band. Non sono mancate poi le cover eccellenti, come “Interstellar Overdrive” dei Pink Floyd o “Rockin’ The Free World” di Neil Young, messaggio di speranza che ha chiuso un concerto di oltre tre ore passate dagli spettatori ad agitarsi e muovere la testa, con l’auspicio di Vedder a rivedersi presto coi propri fan nella Capitale. Ma il momento più memorabile della serata si ha con un’altra cover, cantata a squarciagola da tutto lo stadio…
https://www.youtube.com/watch?v=YGwvi_YWiC4
IMAGINE. A un certo punto Eddie Vedder inizia a parlare in una maniera che preannuncia la svolta politica della serata. Dice il leader dei Pearl Jam: «Due settimane fa siamo partiti da un Paese che troveremo cambiato al nostro ritorno», riferendosi alla norma voluta da Trump per separare i bambini clandestini dai propri genitori. Ed ecco che scatta un momento che rimarrà nella storia della band: Vedder chiede a tutta la platea di accendere la torcia del proprio telefono, e partono le note immortali di John Lennon e della sua “Imagine”. L’emozione all’interno dell’Olimpico è palpabile e molti cantano con gli occhi lucidi. I Pearl Jam, però, non guardano solo in casa propria, e alla fine del pezzo sugli schermi appare una ciambella di salvataggio con sotto delle mani che provano ad afferrarla; all’interno gli hashtags #apriteiporti e #saveisnotacrime, chiaro messaggio al ministro degli interni Salvini e al governo italiano tutto. Questa però è solo la punta dell’iceberg di uno show memorabile, fatto di soli alti. Se a Milano qualcuno aveva storto il naso parlando di un Vedder aiutato fin troppo dal pubblico, ieri sera il leader dei Pearl Jam si è preso la scena, cantando in maniera straordinaria dall’inizio alla fine. Uno showman carismatico che concerto dopo concerto conquista sempre di più il suo pubblico, persino regalando una marea di tamburelli alla folla sotto il palco. Vedder, McCready, Gossard, Ament e Cameron: pay attention to them. La premiata ditta Pearl Jam sembra ancora molto lontana dalla pensione.