Quando si parla di economia circolare, di tematiche ambientali, di modelli di sviluppo, si parla del futuro del nostro pianeta. La Terra è da decenni sotto un’enorme pressione inquinante causata da stili di vita e processi di crescita che proiettano un’impronta ecologica (ecological footprint) insostenibile per il pianeta. Il depauperamento delle risorse naturali, i fenomeni atmosferici sempre più estremi, l’aumento dei morti causati direttamente o indirettamente dall’inquinamento rappresentano parametri oggettivi di una crescita senza controllo che rischia di trasformare il globo in una macchina lanciata a folle corsa verso un muro. Ne abbiamo parlato con l’ingegnere Carlo Milanoli, promotore di una rete europea per il riutilizzo, il consorzio EURepack, e con l’ingegnere Nicola Cerantola, consulente e docente in ambito di eco-design, circular economy e tematiche ambientali.
QUESTIONE DI SEMANTICA. «Ogni volta che si utilizza l’espressione ‘economia circolare’ più del necessario, si erode il suo valore simbolico e la sua capacità di trasformazione». Lo scrive Nicola Cerantola nel suo profilo Facebook aprendo il dibattito su ciò che intendiamo realmente con il termine “economia circolare”. Un concetto complesso in cui confluiscono innumerevoli sensibilità e scuole di pensiero come la bio-mimetica, la performance economy o l’economia azzurra. La trappola semantica insidiosamente nascosta nel dibattito riguarda il pensiero che l’economica circolare nasca per correggere quella lineare. In realtà siamo di fronte ad una rivoluzione copernicana che mira ad un cambiamento radicale degli stili di vita, dei modelli di consumo e di quelli di produzione. Occorre partire da alcuni quesiti di non scontata risoluzione come ad esempio: «Perché compriamo le cose?» o «perché consumiamo?». «Le imprese – spiega Cerantola – soddisfano bisogni già totalmente coperti, a volte superflui, fattispecie che alimenta gli sprechi e l’eccessiva creazione di scarti. L’economia circolare dovrebbe dunque, in quest’ottica, riguardare non tanto l’applicazione di metodi intelligenti per correggere l’inefficiente utilizzo degli scarti o la loro mancata valorizzazione quanto l’applicazione di nuovi modelli economici che non producano completamente scarti bensì emissioni o prodotti che siano interamente riassorbili dall’eco-sistema». Dall’obsolescenza programmata all’eco-efficacia, per utilizzare un neologismo tratto dai lavori di William McDonough e Michael Braungart. Applicazione pratica di questo precipitato teorico sarebbe, ad esempio, il passaggio da un’economia di prodotti ad un’economia di prestazioni (business to business). Invece di comprare una nuova macchina si potrebbe comprare il passaggio su un mezzo di trasporto (si pensi a servizi come l’attuale BlaBlaCar) per ridurre la produzione di nuove auto e quindi le fonti inquinanti. Un approccio più “pragmatico”, ma sulla stessa falsariga, è quello di Carlo Milanoli, volto ad evidenziare come il riciclo sia solamente un aspetto, spesso secondario, all’interno del filone dell’economia circolare. Meglio puntare su processi evolutivi che portino a ripensare il bene e le abitudini di consumo. Meglio sostenere le buone pratiche sul riutilizzo dei beni incentivando i sistemi locali, partendo dal basso.
L’EDUCAZIONE E I BUONI ESEMPI. Come si educa al riuso? «Il processo di incentivazione economica del consumatore è importante – afferma con forza Milanoli – così come altrettanto importante è l’implementazione di un processo di comunicazione di messaggi relativi ad abitudini e modelli da seguire che sia chiaro e diretto. Lì dove gli incentivi si rivelano efficaci e dove i messaggi sono chiari e non contraddittori, i risultati sono assicurati». Il consorzio di cui è presidente, Eurepack, si sta infatti facendo promotore di alcuni progetti a breve-medio termine che prevedono disseminazioni culturali sull’argomento e l’organizzazione di dibattiti e convegni. Quanto ai buoni esempi in questo settore, bisogna concentrarsi sui modelli che consentono di avere beni che se riutilizzati creino prodotti di pari valore. Un valore che non deve essere declinato soltanto nella sua accezione economica bensì nella sua accezione sociale. Prendiamo il progetto Econyl dell’azienda trentina Aquafil. Il progetto prevede la rigenerazione fino al 100% di materie prime quali i rifiuti post-consumo, cioè prodotti finiti composti, in tutto o in parte, da poliammide 6 e giunti a fine vita, tra cui reti da pesca, fluff (parte superiore di tappeti e moquette) e tessuti rigidi o rifiuti pre-consumo, generati dal ciclo produttivo del nylon 6. Il sistema consente di rigenerare infinite volte la poliammide 6 contenuta nei rifiuti, producendo così nuovi polimeri con caratteristiche tecniche e qualitative pari al prodotto di origine fossile. Un progetto attento ai criteri della sostenibilità perché consente di recuperare rifiuti che altrimenti finirebbero in discarica o negli oceani (reti da pesca) causando danni molto seri all’intero ecosistema. Inoltre, permette un reale e consistente risparmio di risorse fossili naturali – circa 7 barili di petrolio ogni tonnellata di polimero Econyl prodotto – grazie al mancato utilizzo di caprolattame vergine nel processo produttivo. C’è poi il progetto Eco-Canvas di Ecologing volto a sostenere l’imprenditore che vuole ripensare il proprio progetto o l’offerta di prodotti e servizi all’interno del paradigma dell’economia circolare attraverso percorsi di mentoring specializzato. Da citare anche il progetto “R1-Reuse” portato avanti proprio da Eurepack e volto a creare sistemi di imballaggio riutilizzabili che propongono un’alternativa reale ed efficace al problema ecologico tramite una politica di prevenzione del rifiuto. Milanoli ha le idee chiare: «Va compresa la necessità per gli operatori del settore di poter godere di incentivi economici o di misure di defiscalizzazione per poter investire con convinzione in quest’ambito. Gli enti pubblici ribalterebbero così i costi degli incentivi su una gestione dei rifiuti che risulterebbe più economica ed efficiente e sulle maggiori risorse economiche che le famiglie avrebbero da reinvestire nel ciclo dei consumi grazie a bollette meno salate».
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