Affascinante, disponibile, elegante, vivace, sobria donna d’affari: tanti i lati del carattere di Martha Schumacher De Laurentiis, moglie dell’indimenticato produttore di Torre Annunziata, protagonista della storia del cinema italiano e internazionale. Nata a Lancaster, nel cuore del territorio Amish della Pennsylvania Olandese, incontrò Dino a New York nella stagione dei preventivi in occasione della lavorazione del film ‘Ragtime’ di Miloš Forman. Da quell’incontro, non si sono più lasciati. Attraverso De Laurentiis, Martha negli anni ha imparato a conoscere l’Italia e gli italiani, tanto che nell’arredare il suo rifugio sull’Oceano, in Bassa California, a Punta Piedra, si è ispirata alle atmosfere dell’isola di Capri. Laureatasi presso Ball State University vicino a Indianapolis, ha iniziato la sua carriera nel 1976 come capo dell’amministrazione e nel 1983 – dopo un’intensa attività di produzione negli anni ’70 (“The Dain Curse”, “Wolfen”, “Warriors”, “Prince of the City”) – ha fondato con De Laurentiis una propria compagnia (DDLC). Insieme, hanno deciso la costruzione di tre studi di produzione: a Wilmington (Carolina del Nord) nel 1984, in Australia nel 1986, e in Marocco nel 2003. Già membro della giuria della 65ma edizione del Festival di Berlino nel febbraio 2015 e con all’attivo oltre 40 titoli (“Unico indizio la luna piena”, “Brivido”, “Ore disperate”, “Codice Magnum”, “King Kong 2”, “L’ultima legione”, “U-571”, “Hannibal”, “Red Dragon”, “Hannibal Lecter – Le origini del male” e l’omonima serie televisiva di NBC), Martha guida con mano ferma la propria compagnia con la risolutezza e la determinazione di una navigata e audace professionista. Abbiamo avuto il piacere di incontrarla a Taormina in occasione della 64ma edizione del festival del cinema, di cui presiede la giuria.
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Tra i primi lavori insieme a suo marito si annovera ‘Ragtime’ di Miloš Forman. Come ricorda quel set e questo grande cineasta che ci ha lasciati di recente?
«Ho iniziato a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, non ancora come produttrice ma come capo dell’amministrazione. Incontrai Dino durante la stagione dei preventivi. Miloš, insieme al suo fedele direttore della fotografia Ondříček, è letteralmente scappato dalla Cecoslovacchia durante la Guerra Fredda. Con l’invasione sovietica, agli artisti non era consentito lasciare la patria. Ho un fantastico ricordo di lui come una persona molto simpatica, anche sul set di ‘Ragtime’. Una storia attualissima ambientata a New York nei primi del Novecento, tra migrazione, ebrei e razzismo. Le difficoltà maggiori sorsero per la riduzione di una complessa sceneggiatura, tratta dal romanzo omonimo di E.L. Doctorow, al fine di realizzare un film di durata inferiore alle due ore. Vi abbiamo lavorato per più di due anni. Il film è stato girato in parte a New York e per metà ricostruito nei teatri degli Shepherd Studios di Londra, con una validissima troupe italo-inglese. In fase di montaggio poi siamo stati costretti a tagliare gran parte del girato sulla sceneggiatura di Micheal Weller».
Il cognome De Laurentiis è legato indissolubilmente alla storia del cinema. Come iniziò la collaborazione con Dino?
«Iniziai la mia collaborazione con Dino De Laurentiis con cinque fascicoli di preventivi per i quali bisognava operare un confronto tra le diverse valute, dai dollari americani, alla sterlina, alla lira. Era entusiasmante e formativo lavorare con un produttore che rischia i propri soldi e che, a differenza degli studios, vende in ogni territorio. Iniziai ad avere contatti con i nostri operatori oltremanica e numerosi soci».
La saga dedicata al Dr. Hannibal Lecter è tra i vostri prodotti di maggior successo e più amati dal pubblico. Come nacque il progetto del primigenio “Manhunter – Frammenti di un omicidio”?
«Dino aveva acquistato dalla Warner Bros. i diritti del primo libro della saga di Richard Harris, ‘Red Dragon’ (in Italia originariamente edito con il titolo “Il delitto della terza luna” n.d.r.). La regia andò a Michael Mann, che proveniva da esperienze televisive e per il quale costituì una grande opportunità per affermarsi con film più commerciali. Abbiamo girato in North Carolina nei tre studi che avevamo costruito a Wilmington. Era il 1985 e ricordo con emozione questa stagione fantastica: nel giro di quasi tre anni avevamo girato ventisette film. Dino aveva uffici a Los Angeles e a New York ma spesso, quando la sceneggiatura non richiedeva esigenze particolari, si girava lì. La postproduzione poi veniva sempre ultimata in California».
Una stagione di grandi successi, insomma…
«Per lui è stata un’epoca fantastica ma al contempo seguirono scelte errate e grandi delusioni sotto il profilo finanziario: non era il suo mestiere, ma Dino, da buon italiano, amava il cibo e la buona cucina. Nei ristoranti a Los Angeles, all’epoca, il cibo italiano praticamente non esisteva e a New York era altrettanto difficile mangiare bene. Faceva arrivare la mozzarella fresca dall’Italia. Dino aveva il sogno di fondare una catena di food shop, la DDLFoodShop. Praticamente una sorta della moderna Eataly. La realizzazione di questo sogno gli costò una perdita di 20 milioni di dollari del tempo. Alla fine del 1985, dopo aver girato numerosi film per MGM e Universal, decise di fondare la propria compagnia di distribuzione e quotarsi a Wall Street. Il titolo andò per un anno e mezzo, poi il crollo. Era necessario un cashflow per un periodo di almeno tre anni ed era impossibile avere un ritorno economico nel giro di così poco tempo. Perse tutto, avendo inserito nella compagnia i diritti di tutti i suoi film “in exchange of stock”. Era un uomo di grande fantasia, altruista, che credeva in sé stesso e in quello che faceva. Ci accomunava il fatto di essere persone che guardano sempre avanti, con ottimismo».
La celebre saga è stata talmente amata dal pubblico che ne avete tratto una serie di indiscussa qualità, che vanta straordinari interpreti
«Sono molto orgogliosa della qualità delle nostre produzioni. L’ho sempre fatto col cuore, nel nostro campo non si può lavorare solo nell’ottica di produrre danaro, cosa che oggi l’industria tende a fare sacrificando però la qualità. NBC ha fortemente voluto la serie tv dedicata al Dr. Lecter. C’è stata convergenza di vedute e non è stata una scelta dettata esclusivamente da logiche di mercato. Mads Mikkelsen è eccezionale, ha preso il ruolo di Hannibal Lecter e lo ha cucito su di sé. Anthony Hopkins è stato un predecessore memorabile, basta vedere cosa ha fatto nella storia del cinema. Tuttavia penso sia un po’ stanco di essere quotidianamente associato al ruolo di Hannibal. Umanamente deve essere stressante convivere con l’eredità di una simile interpretazione. Abbiamo sviluppato il plot strada facendo, trovando la giusta chimica. È stato Hugh Dancy a raccomandare Mads per il ruolo di Hannibal».
Ha un preferito tra i film della saga?
«Difficile eleggerne uno a preferito. Probabilmente il set che ho apprezzato di più è stato quello di “Hannibal” di Ridley Scott. Si respirava un clima di aspettativa, a dieci anni di distanza da “Il silenzio degli innocenti”. C’era una certa emozione tra autori e pubblico. Un coinvolgimento da pelle d’oca».
Come si è adattata a essere una potente donna d’affari e al contempo moglie di un’eccellenza dell’industria?
«Non si tratta di adattarsi quanto di imparare, assorbire. Bisogna seguire gli esempi, apprendere e soprattutto ascoltare. Poi da produttore devi assumerti il rischio, si tratta di vincere o perdere. Noi investiamo su noi stessi. Ho l’ufficio sul campo di Universal Studios ma ho pur sempre una compagnia da portare avanti. Rischio in ciò che credo e ogni progetto deve essere di rilievo. Ogni giorno mi sveglio, vado in ufficio, faccio le cose previste in agenda e vado avanti. Poi capita spesso si faccia un passo avanti e due indietro. E oggigiorno nessuno vuole assumersi la responsabilità delle proprie decisioni. Basta dire che al posto di esporsi con una telefonata, si ricevono centinaia di messaggi e email».
Ormai è assidua componente della giuria di festival prestigiosi, da Berlino a Taormina. Come si approccia a quest’arduo compito?
«Sono già passati tre anni… Che esperienza! Presidente della giuria Darren Aronofsky. Una squadra eccezionale che contava anche Daniel Brühl e Audrey Tautou. Taormina è molto preparata ad avere un festival. Chi ha un palazzo e delle sale in pieno centro in una cittadina così piccola? I film in concorso sono davvero di buona qualità».
Gli estimatori della serie tv sono rimasti orfani della quarta stagione di Hannibal. C’è la possibilità di riunire il cast?
«Nonostante il grande successo di pubblico poi, come sempre, sono subentrate logiche economiche. Il cast sarebbe assolutamente propenso all’idea di una nuova stagione ma bisognerà vedere se in futuro le circostanze saranno favorevoli. Purtroppo qualsiasi progetto è imprescindibilmente legato a logiche di mercato. Sono molto orgogliosa della cura che si è avuta nel dettaglio e nei particolari. Sono stati questi la vera chiave del successo di “Hannibal”. È un prodotto di cui vado fiera e, qualora riuscisse ad avere un seguito, incontrerebbe senza dubbio il favore degli interpreti e del pubblico».