Della giovane ispano-americana Alexandria Ocasio-Cortez non esisteva nemmeno una pagina di Wikipedia fino a poche settimane fa. Chissà se l’attivista del Bronx newyorkese si aspettava di riuscire a sfidare e a battere l’establishment democratico che aveva puntato tutte le sue fiches sul suo pezzo da novanta, quel Joe Crowley che da diversi turni elettorali aveva monopolizzato il collegio dove la Cortez lo stava incalzando, tanto da essere strasicuro della conferma del suo seggio alla Camera dei Rappresentanti. Ma le vie della politica sono infinite. Così Alexandria Ocasio-Cortez ha battuto nettamente l’uomo di partito con un secco 57 a 42 nelle primarie interne e sfiderà ora il repubblicano Anthony Pappas, docente universitario, che si troverà probabilmente a giocare il ruolo della vittima sacrificale in una zona di New York che da sempre ha confermato di essere una roccaforte Dem.
DALLA WORKING CLASS CON FURORE. Alexandria, 28 anni, è l’emblema di quel “melting pot” americano che da decenni contraddistingue l’anima profonda di un Paese sempre più multietnico e sempre più diseguale dal punto di vista della distribuzione della ricchezza. Non è soltanto una rappresentante della classe piccolo borghese e proletaria americana. Quello stile di vita lo ha respirato e vissuto in tutta la sua cruda durezza fin dall’infanzia. Nasce a Parkchester, quartiere del bronx newyorkese ed enclave di numerose minoranze etniche come quella afro o quella ispanica, in un modestissimo monolocale da padre afroamericano e madre portoricana. Donna del popolo, svolge fin dall’inizio i lavori più umili, dalla cameriera alla barista, tentando invano di pagarsi una carriera universitaria che non è mai riuscita a completare soprattutto a causa della morte prematura del padre per un cancro ai polmoni. Vive esperienze familiari drammatiche a causa della semi indigenza economica nonché, come lei stessa ha recentemente raccontato, esperienze di molestie sessuali nei luoghi in cui ha lavorato nel Bronx. Dal punto di vista ideologico, Alexandria ha da anni aderito alla piattaforma politica dei “socialisti democratici”, seppur valga la pena precisare che il termine “socialista” ha un significato molto più sfumato rispetto a quello che noi europei siamo abituati ad attribuirgli. Dichiararsi socialisti in America, atto già di per sé estremamente coraggioso, significa farsi promotore di politiche di redistribuzione del reddito, centrate sull’assistenza sanitaria garantita anche ai più poveri, imperniate sulla difesa del diritto allo studio, ben lungi tuttavia dalle appendici più estreme dell’ideologia socialista che arriva, ad esempio, a negare la validità della proprietà privata. Non è un caso che da attivista del partito democratico, Alexandria Ocasio-Cortez abbia svolto le mansioni, anche quelle più umili, legate alla promozione delle candidature di Obama prima e di Sanders poi. Negli ultimi anni, la giovane ispano-americana aveva aderito al “Brand New Congress”, piattaforma progressista formata da attivisti Lgbtq, da attivisti per i diritti dei più deboli e da socialisti democratici. Saranno proprio questi attivisti, con una campagna elettorale partita dal basso ed auto-finanziata e soprattutto con la loro incredibile passione a portare Alexandra alla storica vittoria contro l’establishment del partito.
LE AFFINITA’ COL PANORAMA ITALIANO. Il risultato elettorale di questa giovanissima attivista ispano-americana presenta dei tratti assimilabili a molti scenari politici europei attuali ed in particolare a quello nazionale. Negli ultimi due anni abbiamo infatti assistito ad un tentativo di riforma interna dell’area del centro-sinistra italiano con protagonista l’ex premier Matteo Renzi. Un percorso che, sulla stessa falsariga di quello condotto da Blair in Inghilterra, mirava a presentare agli elettori un soggetto politico più moderato, vicino a politiche di crescita di matrice liberale e liberista, una sinistra “in camicia bianca” insomma. Col senno di poi, sappiamo tutti com’è andata, in Italia come in Inghilterra. Dall’America, ma anche da altri contesti come quello britannico stesso nell’era post-Blair, arriva invece una netta inversione di tendenza in questa porzione dello spettro politico. La sinistra che si presenta in “camicia rossa”, con volti nuovi e freschi, capace di utilizzare al meglio i nuovi strumenti digitali, recupera terreno, vince e convince. Molti dei caratteri vincenti della campagna elettorale condotta dalla Ocasio-Cortez ricordano, infatti, i grimaldelli che il Movimento 5 Stelle ha utilizzato in Italia per completare la sua metamorfosi da forza di protesta a partito di governo. In primo luogo, l’utilizzo spasmodico dei social media per costruire il personaggio politico. Lo staff di Alexandria ha martellato il web con video della candidata che la ritraevano in situazioni comuni, a contatto con gente comune. L’hanno presentata all’elettorato come una donna del popolo in netto contrasto con un rivale anziano anagraficamente e nel modus operandi. In secondo luogo, l’enorme peso che gli attivisti ed i volontari hanno avuto nell’ultimo anno prima delle primarie. 170.000 telefonate, 120.000 visite domestiche e 120.000 messaggi per un’elezione alla quale alla fine hanno partecipato meno di 30.000 votanti, rappresentano i numeri di una macchina elettorale che si è retta soltanto sulla passione di alcune centinaia di persone e su piccole donazioni individuali. “The race is about people vs money”, la competizione riguarda lo scontro tra le persone ed il denaro, non è un caso se lo slogan utilizzato per la campagna elettorale di Alexandria è stato quello appena menzionato, unito all’hashtag #couragetochange – il coraggio di cambiare. Dati indicativi che faranno certamente riflettere analisti politici e sociologi.