Volevano reintrodurre l’articolo 18. Lo hanno detto per anni. Ne hanno fatto un cavallo di battaglia in campagna elettorale. Ma una volta al governo hanno bocciato un emendamento che ne prevedeva il ripristino. Ennesimo dietrofront dei Cinque Stelle alla Camera chiamati a discutere, insieme alle altre forze politiche, il decreto Dignità che, tra varie misure, disciplina i contratti a termine. Quando viene messo in votazione l’emendamento a firma Guglielmo Epifani, che riporta in vita le tutele previste dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, votano sì solo 13 deputati di Liberi e uguali. Voto contrario viene espresso da 317 deputati, 191 quelli che si astengono. Ed in aula scatta subito l’applauso, ironico, della sinistra all’indirizzo del M5S, reo di aver votato contro un provvedimento che faceva parte del suo programma.
LE REAZIONI. Il primo ad attaccare è stato il deputato di Leu, Roberto Speranza, che ha parlato di «promesse tradite», dato che in campagna elettorale i pentastellati avevano rivendicato la volontà di ripristinare le vecchie tutele dell’articolo 18 ed abolire il Jobs Act. Al contrario, il Pd si è astenuto, con l’attacco di Debora Serracchiani: «Prendiamo atto che M5s e Lega lasciano intatto il Jobs act voluto e attuato dai governi Renzi e Gentiloni. E lo fanno dopo che per tutta la campagna elettorale hanno detto che lo avrebbero abolito e reintrodotto l’articolo 18. Ecco, proprio quel Jobs act che secondo le loro accuse non avrebbe creato posti di lavoro, danneggiato l’economia, tradito la fiducia di imprese e lavoratori, con la votazione di stamani alla Camera non viene toccato, anzi viene ribadita l’importanza del contratto a tutele crescenti. Quello che governo e maggioranza però fanno con questo decreto è intervenire in una fase delicata della nostra economia peggiorando il funzionamento del mercato del lavoro, facendo costare di più il contratto a termine, introducendo le causali, utilizzando il Jobs act, senza ridurre il costo del lavoro a tempo indeterminato: il contrario di quello che serve». Duro anche il commento di Forza Italia: «Noi non ci stiamo a coprire con il nostro voto contrario la propaganda del ministro Di Maio – tuona Renata Polverini annunciando l’astensione del suo gruppo – e per questo chiedo all’Aula di lasciare esprimere con voto contrario solo il M5s perché si abbia una plastica rappresentazione di quando si fa propaganda e quando poi ci si deve assumere la responsabilità in questa Aula.
#DiMaio in campagna elettorale “Vogliamo ripristinare l’articolo 18”
Alla prova dei fatti oggi a @Montecitorio invece cosa fa il #M5S ?
Vota contro l’emendamento di #Epifani che mirava a reintrodurlo.
Il governo del cambiamento, sí, del cambiamento di idee#DecretoDignità— Laura Boldrini (@lauraboldrini) August 1, 2018
L’ATTACCO SOCIAL. Anche Laura Boldrini si scatena contro il M5s: DiMaio in campagna elettorale ‘Vogliamo ripristinare l’articolo 18’. Alla prova dei fatti oggi aMontecitorio invece cosa fa il M5S? Vota contro l’emendamento di Epifani che mirava a reintrodurlo. Il governo del cambiamento, sì, del cambiamento di idee». Matteo Orfini, presidente del pd, attacca Di Maio su Twitter dicendo che non è in Aula e anzi «è muto» perché forse «si vergogna» del suo testo. Ma il vicepremier gli risponde, via Facebook, dicendo che «nelle Commissioni parlamentari abbiamo migliorato ancora il decreto Dignità, potenziando sia la lotta al precariato che il contrasto all’azzardo e la semplificazione fiscale. Ci avevano sempre detto che non era possibile aumentare i diritti, e che anzi bisognava tagliarli per tornare a crescere. La crescita non è arrivata, ma solo il record di contratti a termine e del precariato». E promette: «È solo l’inizio».
Siamo in aula da ieri a votare il decreto disoccupazione scritto da Di Maio. Che è qui con noi. Muto, da due giorni. Eppure sui social parla, parla, parla. Ma in aula di fronte a una discussione di merito ha perso le parole. Forse perché di questo decreto si vergogna anche lui.
— Orfini (@orfini) August 1, 2018