Da un lato Sergio Marchionne, dall’altro Steve Jobs. Due manager di successo, due modi diversi di comunicare la malattia. L’ex amministratore delegato di Fiat Chrysler Automobiles morto lo scorso 25 luglio è riuscito a tenere totalmente occulta la sua malattia fino all’istante improvviso della sua sostituzione in Fca. All’estremo opposto Steve Jobs, fondatore di Apple, che nell’agosto del 2004 comunica ai mercati e al mondo, fino ad allora ignari di tutto, di essersi sottoposto con successo a un intervento chirurgico per la rimozione di un cancro al pancreas, e da allora informa periodicamente l’opinione pubblica del suo stato di salute fino alla morte avvenuta nel 2011. Da Marchionne, dal suo staff, dalla sua famiglia, dai medici della clinica di Zurigo, da Fca nemmeno una parola. Di tutta questa vicenda, da un punto di vista comunicativo, colpiscono soprattutto il riserbo e il silenzio che stridono con il clamore e l’overdose mediatica.
LA LEZIONE SUL SILENZIO. Il ricovero in una clinica di Zurigo, l’intervento chirurgico alla spalla destra, le condizioni di salute di Sergio Marchionne sono stati avvolti dal silenzio. Un silenzio interrotto da John Elkann quando convoca d’urgenza il consiglio di amministrazione per nominare il successore di Sergio Marchionne. Il silenzio è stata la cifra scelta dalla Fca nei confronti dei mercati, il silenzio è stato la modalità di rapporto scelto per un intero anno da Marchionne nei confronti della sua azienda, il silenzio è stato deciso dalla famiglia sulla malattia. Un drammatico segreto, un sarcoma alla spalla – come riportano i quotidiani alcuni giorni dopo la sua morte -che aveva colpito da circa un anno il manager italo-canadese e lo costringeva a continui controlli e cicli di cure in Svizzera. Marchionne probabilmente sperava che la malattia gli desse ancora un po’ di tempo. Tempo per chiudere il piano industriale e lasciare Fca nel 2019 come previsto. Tempo per altre sfide e nuovi traguardi. Tempo magari per riuscire a vincere, da presidente Ferrari, il mondiale di Formula uno. Si possono capire le ragioni umane del silenzio: Marchionne voleva difendere ruolo, potere e progetti; Fca voleva proteggere i titoli azionari sul mercato; la famiglia voleva custodire il proprio amore e il proprio dolore.
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IL CLAMORE MEDIATICO. Al silenzio è seguito il frastuono mediatico. Per giorni dopo la sua morte sono stati passati al setaccio i suoi 66 anni: dall’infanzia in Italia agli studi in Canada, dalla sua prima esperienza lavorativa in Svizzera all’arrivo in Fiat. Sono state raccontate le sue tante imprese in Fca: la fusione di Chrysler con l’azienda torinese, il risanamento dei conti, il rilancio del made in Italy. La notizia della sua morte ha fatto il giro del mondo. La sua foto è apparsa su tutti i quotidiani nazionali ed internazionali. «Sergio Marchionne, che ha ridato vita a Fiat e Chrysler, è morto a 66 anni» ha titolato il New York Times. Sergio Marchionne viene descritto dalla stampa come il manager, l’eroe con il maglioncino scuro, che ha rilanciato l’azienda automobilistica italiana. Tutti, dal presidente Trump al dipendente dello stabilimento di Pomigliano d’Arco, hanno voluto ricordarlo. Post sui social, necrologi, commiati che hanno raccontato l’uomo e il manager.