Enrico Mentana li ha etichettati come «webeti». Umberto Eco, prima di lui, se l’era presa con i social network, per aver dato il «diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività». In Italia gli analfabeti funzionali o low skilled sono più del 47% della popolazione. La caratteristica che li accomuna è quella di non saper applicare in modo efficiente e nelle situazioni quotidiane le abilità di lettura, scrittura e calcolo: non sono in grado, per esempio, di comprendere le istruzioni di uno smartphone, credono all’opinione di chiunque prendendola come verità senza sentire la necessità di informarsi sull’argomento, non riescono a rielaborare in pensiero critico un concetto sentito al bar o condiviso sui social.
ITALIA PENULTIMA IN EUROPA. Nonostante l’Italia abbia un tasso di alfabetizzazione che sfiora il 100%, la percentuale di analfabeti funzionali è la più alta dell’Unione Europea. È “low skilled” più di un italiano su quattro, così il nostro Paese ricopre una tra le posizioni peggiori nell’indagine Piaac: penultima in Europa per livello di competenze (preceduta solo dalla Turchia) e quartultima su scala mondiale rispetto ai 33 Paesi analizzati dall’Ocse (peggiori solo Indonesia, Cile e Turchia). Il distacco con gli altri Paesi europei è notevole se consideriamo il 20% di analfabeti funzionali in Inghilterra ed il 10% nelle nazione nordiche.
IDENTIKIT DEI NUOVI ANALFABETI. Secondo l’identikit tracciato dall’Osservatorio Isfol e pubblicato nell’articolo “I low skilled in Italia”, solo il 10 percento degli analfabeti funzionali è disoccupato, fanno lavori manuali e routinari, poco più della metà sono uomini e uno su tre è over 55. Alte percentuali anche tra i giovanissimi, tra i 18 e i 24 anni, che vivono con i genitori, non studiano e non lavorano. Più del 60% è concentrato tra sud e nord ovest del Paese, regioni che presentano le percentuali più alte tra quelle analizzate. Tra i soggetti più colpiti troviamo i pensionati e le persone che svolgono un lavoro domestico non retribuito, i quali costituiscono da sempre le fasce culturalmente più deboli. Tra i dati più interessanti, l’aumento della percentuale di low skilled al crescere dell’età, passando dal 20% della fascia 16-24 anni all’oltre 41% degli over 55.
ANALFABETISMO DI RITORNO. In generale, la diffusione di questo fenomeno deriva da radici politiche, sociali e dal livello di istruzione, ma ciò non implica che i laureati non possano diventare potenziali low skilled. Infatti, analfabeti funzionali non solo si nasce, ma si diventa. Come ha riferito Friedrich Huebler, uno dei massimi esperti di alfabetizzazione, «senza pratica, le capacità legate all’alfabetizzazione possono essere perse anno dopo anno». Alcuni individui, infatti, possono subire un fenomeno di retrocessione dovuto all’analfabetismo funzionale di ritorno, non sollecitando per molto tempo tutte le attività acquisite in precedenza, come la lettura, l’informazione, la creatività e lo sviluppo di un pensiero critico generale.
ANALFABETI FUNZIONALI SUI SOCIAL. Il fenomeno non è nato con internet, ma lo conosciamo meglio grazie all’utilizzo dei social. Dove c’è una discussione sui temi caldi riguardanti la nazione c’è almeno un commento di un analfabeta funzionale. Dai vaccini all’immigrazione, dall’acquisto di Ronaldo al crollo del ponte di Genova, l’analfabeta funzionale si sente in diritto di esprimere la propria verità. Magari ha letto soltanto il titolo e il giornale l’ha utilizzato per sventolarsi sotto l’ombrellone. Ed ecco che cominciano a circolare teorie complottiste che ricevono milioni di like, commenti aggressivi verso chiunque tenta di esprimere una opinione contraria, giornalisti compresi, fino alla diffusione di vere e proprie fake news. «È l’invasione degli imbecilli», per dirla con le parole di Umberto Eco.