Vale la pena, innanzitutto, di chiarire l’oggetto di indagine. A livello statale, la Legge 20 febbraio 2006, n. 96 è ancora oggi il testo normativo di partenza per chi intende porre in essere un’attività agrituristica. Tale legge definisce l’attività di agriturismo ed i principi generali che le Regioni devono seguire per stabilirne criteri e limiti nelle rispettive leggi e norme regolamentari.
Da un punto di vista oggettivo, l’agriturismo è il complesso delle attività di ricezione e di ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, anche nella forma di società, attraverso l’utilizzazione della propria azienda. Possono essere addetti allo svolgimento dell’attività agrituristica l’imprenditore agricolo e i suoi familiari ai sensi dell’articolo 230-bis del codice civile, nonché i lavoratori dipendenti a tempo determinato.
Rientrano fra le attività agrituristiche: il dare ospitalità in alloggi o in spazi aperti destinati alla sosta di campeggiatori; somministrare pasti e bevande costituiti prevalentemente da prodotti propri e da prodotti di aziende agricole della zona, con preferenza per i prodotti tipici o a marchio DOP, IGP, IGT, DOC e DOCG o compresi nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali; organizzare degustazioni di prodotti aziendali; organizzare, anche all’esterno dei beni fondiari, attività ricreative, culturali, didattiche, di pratica sportiva, escursionistiche e di ippoturismo, anche per mezzo di convenzioni con gli enti locali, finalizzate alla valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale.
Da un punto di vista funzionale, l’agriturismo postula uno stretto rapporto di connessione tra l’attività propriamente turistica e le attività di coltivazione del fondo o di silvicoltura o di allevamento di animali proprie del settore agricolo.
La normativa statale non prevede alcuna “specializzazione” degli agriturismi; l’individuazione di specifici settori (o “cluster”) di utenti e la predisposizione di servizi loro dedicati è questione di mercato, non di norme. Però, forse proprio per questo motivo assumerà un maggior interesse per gli operatori del settore o per chi è interessato ad intraprendere tale attività la prospettiva di una possibilità di caratterizzazione della propria offerta.
In un tale contesto, l’Osservatorio nazionale per l’agriturismo produce ogni anno report dedicati alla materia.
L’ultimo rapporto dell’Osservatorio, curato da ISMEA (maggio/giugno 2018), ha analizzato il rapporto tra agriturismo e quattro settori di mercato potenzialmente connessi: il turismo della bicicletta, i campi estivi e le “settimane verdi”, l’organizzazione di conferenze ed il “team building”, i corsi di cucina.
I risultati sono talmente diversi tra loro che si va dal “sorprendente” all’“incoraggiante”, al “deprimente”.
Sorprende il primo dato che balza agli occhi: la profondamente diversa distribuzione, sul territorio nazionale, di tali attività: zero totale del Molise, quanto ad agriturismi “specializzati” nei quattro settori anzidetti, e, contemporaneamente, 163 della Toscana (che rappresenta evidentemente un mondo a parte, stante il fatto che la seconda regione con il maggior numero di agriturismi “settoriali” è l’Umbria, con 61 agriturismi che si occupano dei settori analizzati da ISMEA).
Altro dato importante ed incoraggiante è che la diversificazione certamente non è un obbligo, ma è comunque un elemento che può fare la differenza tra una attività economicamente eccellente ed una meno performante. Nei settori indicati da ISMEA si registrano, peraltro, significativi elementi di crescita potenziale e di opportunità di mercato. Con l’eccezione del settore “business” (agriturismo e team building o agriturismo ed organizzazione di eventi di impresa), poi, l’agriturismo in Italia esercita una considerevole attrattività per gli stranieri (in primo luogo, manco a dirlo, se legato alla cucina, ma anche la bicicletta ha il suo fascino).
Nondimeno, qui la parte deprimente, sia per la carenza di informazione sulle buone pratiche, a livello locale, sia per la storica scarsa inclinazione alla “novità” degli operatori di settore, sia per la diffusa “tiepidità” dei piccoli e medi imprenditori italiani (non fa eccezione il settore agricolo) nei confronti dei social networks e dei grandi canali di comunicazione, le potenzialità del patrimonio agrituristico italiano rimangono spesso inespresse.
Tirando le somme, il rapporto ISMEA evidenzia una specifica carenza dell’offerta e della pianificazione: la carenza di comunicazione di buone pratiche. Se ne potrebbero aggiungere altre: la carenza di scambi culturali/imprenditoriali con omologhi esteri (a mo’ di Erasmus for young entrepreneurs), soprattutto in periodi di bassa stagione, nonché la carenza di informazioni in merito alle modalità di finanziamento, la difficoltà di accesso a canali finanziari alternativi e così via.
Di positivo, però, rimangono le prospettive di crescita (confermate per il 2018) dell’intero settore di mercato e la parimenti crescente capacità di attrarre flussi turistici esteri (giunti, ormai, al 30% circa dell’intera domanda di servizi turistici in agriturismo).