La bozza d’intesa è quella giusta. Theresa May ci crede «con tutta se stessa». E ritiene che sia la direzione giusta per il Regno Unito e per il suo popolo. La premier britannica, a poche ore dal terremoto politico che ha portato alle dimissioni di alcuni ministri del suo governo, va avanti. «L’accordo è nell’interesse nazionale, non in un interesse di parte e sicuramente non nell’interesse delle mie ambizioni politiche. Il popolo ha votato in massa al referendum del 2016 e ha votato per la Brexit. È nostro dovere rispettarne la volontà, non convocare un secondo referendum». May in audizione alla Camera dei Comuni aveva difeso l’intesa con l’Ue precisando che non si tratta «dell’accordo finale», ma di un documento che consentirà un’uscita «liscia, ordinata e nei tempi previsti».
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LA CRISI NEL GOVERNO. Dopo il sì del consiglio dei ministri alla bozza di accordo sulla Brexit raggiunta da May con le autorità europee, sono arrivate le dimissioni di quattro membri dell’esecutivo euroscettici. La perdita più importante è il ministro della Brexit, Dominic Raab, che era il caponegoziatore del Regno Unito nelle trattative con l’Unione Europea. «Non posso sostenere l’accordo con l’Ue – ha scritto su Twitter colui che ha negoziato quell’accordo – la soluzione proposta per l’Irlanda del Nord rappresenta una minaccia reale all’integrità del Regno Unito». A seguire Raab poco dopo anche la sottosegretaria alla Brexit Suella Braverman. Si sono dimessi anche il sottosegretario per l’Irlanda del Nord, Shailesh Vara, la ministra del Lavoro, Esther McVey, e il vicepresidente del partito conservatore, Rehman Chishti. Tutti hanno lasciato l’incarico perché contrari all’intesa raggiunta con Bruxelles. Dopo la piccola vittoria con il via libera del consiglio dei ministri all’accordo, il futuro di Theresa May e l’accordo sulla Brexit tornano nell’incertezza più assoluta. Le dimissioni di oggi fanno crescere di numero le uscite di ministri dal governo May negli anni. Ma se finora la premier è sempre riuscita ad andare avanti cambiando le pedine, questa volta potrebbe non essere lo stesso. Soprattutto con la scadenza del 29 marzo alle porte e lo spauracchio del “no deal”, l’azzardo di May potrebbe diventare a breve l’incubo di un intero Paese. Un futuro reso ancora più incerto dalla richiesta di una mozione di sfiducia contro Theresa May da parte di due deputati Tories, Jacob Rees-Mogg e Henry Smith, tra i brexiters più radicali. Nella missiva la May viene accusata di aver violato «le promesse fatte alla nazione» sulla Brexit.
Today, I have resigned as Brexit Secretary. I cannot in good conscience support the terms proposed for our deal with the EU. Here is my letter to the PM explaining my reasons, and my enduring respect for her. pic.twitter.com/tf5CUZnnUz
— Dominic Raab (@DominicRaab) November 15, 2018
LA POSIZIONE DELLA MAY. La premier britannica è pronta a raccogliere la sfida alla sua leadership nel Partito Conservatore, se una mozione di sfiducia verrà formalizzata. «Sono pronta ad affrontarla», ha tagliato corto, aggiungendo più avanti di confidare che i deputati Tories possano valutare con attenzione il suo operato e la bozza d’intesa sulla Brexit. «Se non andiamo avanti con questo accordo nessuno può essere certo delle conseguenze. Significherebbe intraprendere un percorso di profonda e grave incertezza, mentre il popolo britannico vuole solo che noi andiamo avanti”. L’accordo, assicura la May, onora il mandato referendario. E sul confine tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda, ha aggiunto: «Nessuna ha proposto alternative per la Brexit, capisco che ci sono persone in difficoltà con il backstop, ne condivido alcune preoccupazioni, ma non c’è nessun accordo che possa essere raggiunto con la Ue che non coinvolga un backstop».