Marco Minniti ha sciolto la riserva annunciando la sua candidatura a segretario del Partito democratico. Il congresso del Pd si è formalmente aperto con le dimissioni di Maurizio Martina e con la convocazione della Commissione che deciderà le regole delle primarie. L’ex ministro dell’Interno è stato indicato da giornalisti ed esperti come il candidato dell’ala renziana dei dem, anche se nell’intervista a Repubblica, nella quale ha annunciato la sua candidatura, ha rifiutato quest’etichetta: «In campo c’ è solo Marco Minniti». E ritiene questa scelta obbligata per «evitare l’estinzione del Partito democratico». Un partito contro cui rivolge aspre critiche: «Il Pd, non ha risposto a due grandi sentimenti, la rabbia e la paura, ed è stato aristocratico perché non ha ascoltato le fasce più deboli della popolazione».
IL PROFILO. Una lunga carriera politica, quella di Marco Minniti, costellata da nomine che gli sono valse impegni sempre più importanti sulla scena politica italiana. Reggino, classe 1956 si avvicinò alla politica negli anni Ottanta, militando nel Pci. Fece poi carriera nel Pds e nei Ds, come un uomo di fiducia di Massimo D’Alema, diventando deputato per la prima volta nel 2001. È stato per diverse volte sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e tra il 2016 e il 2018 è stato ministro dell’Interno nel governo Gentiloni. È ricordato principalmente per le dure politiche sull’immigrazione. Durante il suo incarico Minniti è riuscito a ridurre moltissimo gli sbarchi dalla Libia grazie ad alcuni accordi con milizie locali e il sostegno alla Guardia costiera libica che gli sono valse le critiche di una parte del Pd. Ed anche per questo Minniti non vuole essere marchiato come l’uomo di una corrente, quella renziana: «Penso di aver dimostrato in questi anni di aver una capacità di autonomia politica e una cosa che non si può dire è che io non abbia dimostrato carattere», dice a In Mezz’ora in più a Lucia Annunziata. La trasmissione di Rai3 è la seconda vetrina per il lancio della sua candidatura e un palco da cui attaccare gli avversari: «Ora si parla di cambiare il nome, quando il problema vero è cambiare radicalmente il partito, rivoltarlo come un calzino».
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LE PRIMARIE. L’ex ministro dell’Interno però già si interroga sui rischi che la corsa a sette candidati consegni il partito allo stallo. «Il compito di tutti è far sì che qualcuno arrivi al 51% per essere eletto segretario del Pd altrimenti sarebbe uno scacco e si sancirebbe che il Pd è una confederazione di correnti». Il problema è collegato al complesso meccanismo dello statuto Pd. Alla sfida delle primarie – arriveranno infatti i primi tre votati dai circoli, ma se nessuno avrà il 50% più uno nei gazebo la parola decisiva sarà dell’assemblea. Per il momento, secondo Repubblica, Minniti e Zingaretti sono gli unici due candidati di primo piano alle primarie. Ma ci potrebbe essere anche Martina. Ci si aspettava un suo annuncio che però non è arrivato. Una sua candidatura potrebbe inserirsi per certi versi a metà tra quella di Zingaretti e quella di Minniti, ottenendo il sostegno di Graziano Delrio, ex ministro dei Trasporti, e di Matteo Orfini, presidente del Pd. In campo in vista del congresso ci sono anche Matteo Richetti, Cesare Damiano, Francesco Boccia e Dario Corallo.