È iniziato il tempo di Natale e, con esso, quel lungo momento dell’anno in cui ripetiamo più frequentemente la parola “auguri”. Molti di noi lo fanno con reale trasporto, con le migliori delle intenzioni, con l’autentico desiderio che quelle sei lettere pronunciate con un sorriso, e che in fondo non costano niente, portino a coloro cui le rivolgiamo ciò di cui più hanno bisogno. Alcuni le azionano perfino meccanicamente, perché così richiedono gli usi e le consuetudini, come un guscio vuoto all’interno del quale non è riposto alcun tipo di sentimento, ma solo una percentuale di abitudine mista a una di buona educazione.
Ora, sembrerebbe immediato pensare che è senz’altro preferibile ricevere il primo tipo di auguri, quelli che vengono dal profondo del cuore.
E invece no, io non lo credo.
E, se potessi, quest’anno chiederei di sovvertire questa prassi antica, smettendo di rivolgere auguri di Buon Natale e di felice anno nuovo in produzione seriale. E non è cinismo, ma senso delle cose. La vita insegna, se riusciamo a leggere fra le pieghe del vissuto, che né gli auguri, né le preghiere, né i migliori degli auspici che ci vengono rivolti ci portano ciò che ci serve, ma che ci raggiunge sempre e solo ciò che ci è destinato e che è “adatto” alla nostra crescita morale e spirituale. Nessuno di noi può nulla contro gli eventi sfavorevoli che ci aspettano, né può incidere in alcun modo sulle gioie che comunque arriveranno, auguri o no.
Quindi, potendo scegliere tra le tante parole che mi piacerebbe sentirmi rivolgere in questo tempo che è per tutti attesa di rinascita, io non avrei alcun dubbio. Sceglierei la parola “lealtà”. Mi piacerebbe sentirla pronunciare agli amici più intimi mentre mi abbracciano. O ai semplici conoscenti incrociati per strada, mentre mi tendono la mano per stringerla forte, quasi a suggellare un patto. E vorrei essere guardata negli occhi, in quegli istanti. Perché mentre gli auguri sono demandati al caso, alla fortuna, a un Dio che eventualmente vede e provvede, la lealtà, al contrario, è l’unica cosa sulla quale ciascuno di noi si può impegnare. È una promessa che possiamo mantenere in prima persona, e che potremo dimostrare, al tempo delle opportune verifiche, se siamo stati in grado di onorare o meno. È ciò che più dovremmo desiderare ricevere da ogni altro simile, e donare a nostra volta. Essa non prevede che ci debba essere per forza compromesso, solidarietà, condivisione degli stessi sentimenti e delle stesse idee, accordo facile o comune intesa.
Anzi.
Si può essere strenui avversari e perfino acerrimi nemici, rimanendo pur sempre leali. Come quando ci si batteva a duello, con onore, preferendo una possibile morte a viso aperto a un colpo inferto alle spalle, con tanto di padrini e testimoni a garantire l’onestà di una sfida che per uno dei due poteva essere l’ultima della vita. Con regole precise, paradossalmente rispettose del contendente, offeso od offensore, al punto che qualora uno dei due si fosse trovato momentaneamente in condizione di non potersi difendere perché disarmato dall’avversario, quest’ultimo avrebbe atteso finché il primo non fosse di nuovo in piedi e in grado di combattere ad armi pari. Ecco, questo è ciò che desidero sentirmi offrire e che, a mia volta, mi impegno a promettere. Non c’è scorrettezza più grave, né errore più imperdonabile, né vergogna maggiore, della mancanza di lealtà.
Rinuncerei volentieri al più sincero degli auguri e al più stupefacente dei regali, pur di avere la certezza di essere circondata da persone leali. Perché nella vita si può vincere o si può perdere, ottenere o non raggiungere, conquistare o cedere, ma senza lealtà non c’è vittoria e non c’è perdita. C’è solo una sensazione d’infinita tristezza che nessuno dovrebbe mai essere costretto a provare, né per averla cagionata, né per averla avuta inflitta.
Buona lealtà a tutti, dunque.
Per questo Natale che ci attende, per il 2019 che sta per arrivare, e per tutta la vita che ancora verrà.