In attesa di capire come si chiuderà la trattativa con l’Europa sui numeri per la manovra, cominciano a spuntare alcuni dettagli sulla versione definitiva che dovrebbe arrivare martedì al Senato con il maxiemendamento. La prima novità riguarda il reddito di cittadinanza, che costerà circa 6,1 miliardi. A questa cifra si aggiunge il miliardo per la riforma dei centri per l’impiego. La misura, rispetto all’impostazione iniziale, resta invariata nella platea: circa 5 milioni di persone. La riduzione dei costi è dovuta al fatto che si partirà da fine marzo e non da gennaio come previsto inizialmente. Inoltre, sulla base delle relazioni tecniche si prevede che il 90% degli aventi diritto faccia richiesta del reddito.
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Nel dettaglio, da Palazzo Chigi ricordano che la previsione iniziale di 9 miliardi per ciascuno dei prossimi tre anni riguardava l’arco dei dodici mesi. Ma per il prossimo anno, visto che la misura partirà a fine marzo e dovrà essere finanziata solo per nove mesi, il costo per le nove mensilità residue porta a una cifra di 6,75 miliardi. Su questa valutazione se ne innesta una seconda “tecnico-statistica”. Storicamente, le misure di sostegno sociale non sono richieste da tutti coloro che fanno parte della platea degli aventi diritto: sulla base dell’esperienza recente, la percentuale di chi fa richiesta non è stata superiore all’80%. Ad esempio, le domande per il Rei (Reddito di inclusione) sono state presentate da circa il 50% di chi ne aveva diritto. Rispetto alla stima iniziale dei costi presentata a settembre, che si basava sull’ipotesi che tutti gli aventi diritto al reddito di cittadinanza ne facciano richiesta, le nuove relazioni tecniche sono comunque molto prudenti perché si basano sull’ipotesi che sia il 90% di chi ha diritto a fare richiesta. In base all’aggiustamento tecnico-statistico, dunque, il 90% di 6,75 miliardi fa 6,1 miliardi. Sommando a questa cifra 1 miliardo necessario per i centri per l’impiego si arriva ai 7,1 miliardi di costo definitivo del reddito di cittadinanza per il 2019.
Negli anni successivi 2020 e 2021 non sarà più necessario 1 miliardo all’anno per i centri per l’impiego, ma soltanto 300 milioni per pagare gli stipendi ai nuovi assunti. Nel 2020 e 2021 la misura costerà quindi circa 8,1 miliardi. Anche per l’altra misura simbolo, quota 100, il Governo ha già rivisto il costo che è sceso da 6,7 miliardi a 4,7 miliardi. In particolare si stima una percentuale di richieste di ritiro con “quota 100”, che sarà in vigore per tre anni fino all’introduzione della possibilità di uscita anticipata dopo 41 anni di lavoro, non superiore all’85%, con il risultato appunto di una spesa maggiore per non più di 4,7 miliardi il primo anno, che salgono a 8 nel 2020 e 7 miliardi nel 2021. Tutti questi numeri dovrebbero essere messi in fila nella relazione tecnica che accompagnerà il decreto legge atteso dopo l’approvazione della legge di Bilancio.