Esattamente quattordici anni fa, nel 2005, gli italiani furono chiamati per la prima volta a celebrare il «Giorno del Ricordo», in memoria dei quasi ventimila italiani torturati, assassinati e gettati nelle foibe dalle milizie della Jugoslavia di Tito alla fine della seconda guerra mondiale. «Celebrare la giornata del Ricordo significa rivivere una grande tragedia italiana, vissuta allo snodo del passaggio tra la seconda guerra mondiale e l’inizio della guerra fredda», ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Quirinale nel ricordare la tragedia delle foibe e l’esodo degli italiani costretti a lasciare le ex province italiane della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.
«Un capitolo buio della storia nazionale e internazionale, che causò lutti, sofferenza e spargimento di sangue innocente. Mentre, infatti, sul territorio italiano la conclusione del conflitto contro i nazifascisti sanciva la fine dell’oppressione – ha detto ancora il capo dello Stato – e il graduale ritorno alla libertà e alla democrazia, un destino di ulteriore sofferenza attendeva gli Italiani nelle zone occupate dalle truppe jugoslave». La prima ondata di violenza esplose proprio dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani jugoslavi di Tito si vendicarono contro i fascisti che, nell’intervallo tra le due guerre, avevano amministrato questi territori con durezza, imponendo un’italianizzazione forzata e reprimendo e osteggiando le popolazioni slave locali. Con il crollo del regime i fascisti e tutti gli italiani non comunisti vennero considerati nemici del popolo, prima torturati e poi gettati nelle foibe.
Le proporzioni esatte della tragedia, ancora oggi, non hanno confini certi ma si stima che nel periodo tra il 1943 e il 1947 gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case siano stati almeno 250 mila con circa 20 mila vittime. Diverse migliaia tra queste, tra le 4mila e le 6mila, hanno perso la vita all’interno delle foibe: profonde cavità naturali tipiche delle aree carsiche, dove venivano abbandonati i corpi dei giustiziati. Alcune delle più tristemente famose sono quelle di Vines, in Istria, nelle quali vennero recuperati, nel 1943, 84 corpi, e il pozzo di Basovizza, nei pressi di Trieste. «Non si trattò, come qualche storico negazionista o riduzionista ha provato a insinuare, di una ritorsione contro i torti del fascismo – ha sottolineato Mattarella – Perché tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni».
Poi Mattarella passa a condannare senza mezzi termini anche quella «cortina di silenzio ingiustificabile» che ha coperto lo scempio delle foibe. «Solo dopo la caduta del muro di Berlino – ha detto il presidente – il più vistoso, ma purtroppo non l’unico simbolo della divisione europea, una paziente e coraggiosa opera di ricerca storiografica, non senza vani e inaccettabili tentativi di delegittimazione, ha fatto piena luce sulla tragedia delle foibe e del successivo esodo, restituendo questa pagina strappata alla storia e all’identità della nazione». «L’ideale di Europa è nata tra le tragiche macerie della guerra, tra le stragi e le persecuzioni, tra i fili spinati dei campi della morte. Si è sviluppata in un continente diviso in blocchi contrapposti, nel costante pericolo di conflitti armati: per dire mai più guerra, mai più fanatismi nazionalistici, mai più volontà di dominio e di sopraffazione» ha aggiunto il Capo dello Stato. Per Mattarella «l’ideale europeo, e la sua realizzazione nell’Unione, è stato, ed è tuttora, per tutto il mondo, un faro del diritto, delle libertà, del dialogo, della pace. Un modo di vivere e di concepire la democrazia che va incoraggiato, rafforzato e protetto dalle numerose insidie contemporanee».