Il capo politico del M5s, Luigi Di Maio, ha annunciato che nei prossimi giorni inizierà una vasta opera di riforma, con lo scopo di rispondere alle gravi sconfitte che il movimento continua a subire nelle elezioni locali. L’ultima in ordine di tempo è avvenuta alle Regionali in Sardegna, in cui rispetto alle elezioni politiche del 4 marzo i pentastellati sono passati dal 40 al 9%.
Il più importante di questi cambiamenti è la rimozione del limite dei due mandati per i consiglieri comunali. Di Maio era visibilmente agitato mentre annunciava la novità rispetto ad una delle più importanti regole interne del Movimento. Lui stesso, più volte, aveva detto che mai sarebbe cambiata. «Non si può pensare – ha spiegato il vicepremier durante la conferenza stampa a Montecitorio – che essere consigliere comunale sia un privilegio. È un presidio di legalità e di lotta contro i privilegi. Possiamo discutere di nuove regole per i consiglieri comunali. Per esempio che il loro secondo mandato non valga e possano candidarsi alche al consiglio regionale o in parlamento. Ma per maturare quell’esperienza, il primo mandato da consigliere lo devi fare».
Di Maio ha anche annunciato che sarà discussa la possibilità di creare una struttura centralizzata e gerarchica con funzioni di guida e coordinamento del partito. «Per riuscire a essere forti alle amministrative dobbiamo darci un’organizzazione a livello nazionale e a livello regionale». Ma la riorganizzazione del Movimento, che prevede anche l’apertura a possibili alleanze con le liste civiche in occasione delle elezioni locali, sarà decisa dagli iscritti sulla piattaforma Rousseau. «L’anima del Movimento non cambia, diventa solo più adulto» anche se è finirà ad assomigliare sempre di più ai partiti che ha contestato fin dalla sua nascita, specie se si conta che negli ultimi anni anche altre “regole” sono state tradite. Dal «mai più a governi non eletti» ad un esecutivo guidato da un presidente del consiglio che non era candidato, dal «mai alleanze con i partiti» al contratto di governo con la Lega, dal «mai in televisione» alle ospitate nei salotti di Bruno Vespa e Barbara D’Urso.
La giravolta più macroscopica è stata probabilmente quella sull’euro. Per anni Di Maio e compagni hanno cavalcato il sentimento euroscettico degli italiani proponendo un fantomatico referendum consultivo sulla moneta unica, per poi abbandonare completamente ogni velleità di uscire dall’euro. Sono celebri le parole Di Maio dopo le consultazioni al Quirinale, quando il capo politico del 5 Stelle rassicurò tutti sulla sua intenzione di «restare nell’Euro, nell’Ue e nella Nato». Stesso epilogo la battaglia annunciata nei confronti dell’Europa dopo il caso Diciotti, quando i paesi europei lasciarono sola l’Italia a gestire l’ennesimo carico di migranti che Malta aveva rifiutato. «Siamo pronti a tagliare i fondi all’Ue e porteremo il Ceta in Parlamento per bocciarlo» tuonò il vicepremier M5s infuriato. Come è andata a finire? Il governo ha pagato regolarmente la sua quota di contributi all’Ue e il Ceta è ancora in vigore.
Uno dei principi su cui i 5 Stelle hanno fatto rapidamente dietrofront è stato poi quello delle dimissioni in caso di avviso di garanzia. Anni fa Di Maio e Di Battista urlavano che bastava ci fossero indagini a carico di un politico investito di funzioni pubbliche per determinarne l’obbligo di dimissioni. Lo stesso principio non è stato applicato dopo i rinvii a giudizio a carico di Virginia Raggi e Chiara Appendino e l’avviso di garanzia a Filippo Nogarin.
Tema caldo è stato pure quello dell’Ilva di Taranto. In campagna elettorale i grillini si sono espressi numerose volte per la chiusura e la bonifica del territorio. Appena al governo, Di Maio ha sostanzialmente confermato la linea del suo predecessore allo Sviluppo Economico Calenda, cedendo l’Ilva al gruppo franco-indiano e abbandonando definitivamente soluzioni come la chiusura, la riconversione o la nazionalizzazione. E ancora dopo aver promesso per mesi lo stop al gasdotto Tap (Trans Adriatic Pipeline) lo hanno invece riconfermato. E vedremo come andrà a finire con il «no Tav». Il cambiamento, intanto, c’è stato. Quello delle loro stesse opinioni.
LEGGI ANCHE: Il M5s verso l’addio del limite dei due mandati