«Think equal, build smart, innovate for change»: è lo slogan che le Nazioni Unite dedicano all’8 marzo 2019, invitando tutte le comunità a un cambiamento globale in linea con gli Obiettivi Onu di Sviluppo Sostenibile, l’Agenda che mira al 2030 promuovendo un miglioramento globale nella vita dell’umanità, e che non può prescindere dall’affrontare la questione femminile globale. Sono almeno due gli obiettivi di Sviluppo Sostenibile che riguardano la parità di genere: il numero 4 che mira ad assicurare l’accesso di tutti a un’istruzione di qualità e il numero 5 per rendere autonome tutte le donne e le ragazze. La questione femminile è tornata a essere centrale nel dibattito pubblico, e l’8 marzo è l’occasione per ricordare tutte le battaglie combattute, vinte o ancora da vincere per la difesa e la valorizzazione delle donne.
L’origine della Giornata internazionale della donna si perde tra molte leggende, la più ricorrente è senza dubbio quella che fa risalire la festa dell’8 marzo alla commemorazione delle oltre cento operaie morte nel rogo dell’edificio newyorchese della Triangle Waist Company il 25 marzo del 1911. Altre versioni associano la festa della donna ad uno sciopero di lavoratrici tessili brutalmente represso a New York l’8 marzo del 1857, o ancora alla rivolta pacifista delle operaie di Pietrogrado l’8 marzo 1917. Fatto sta che le rivendicazioni delle donne contro lo sfruttamento, i bassi salari, le discriminazioni sessuali e del diritto di voto, nel 1909 diventarono una questione non più rimandabile e il Partito socialista americano organizzò una manifestazione a favore delle lotte femminili. Fu così che negli Stati Uniti la prima e ufficiale giornata della donna venne celebrata il 23 febbraio 1909.
Dopo la manifestazione del 1909 negli Stati Uniti, alla Seconda Conferenza internazionale delle donne, organizzata nel 1910 a Copenaghen, si discusse di istituire una festa ufficiale, senza però stabilire una data precisa. L’anno successivo, il 19 marzo, venne festeggiata da oltre un milione di donne in Svizzera, in Danimarca, nell’Impero austroungarico e Impero tedesco. Si arrivò a scegliere definitivamente l‘8 marzo nel dicembre del 1977, quando l’Onu, con la risoluzione 32/142, stabilì la “Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale”.
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In Italia la ricorrenza prese piede timidamente negli anni Venti solo tra le operaie delle grandi fabbriche, eclissandosi nella clandestinità durante gli anni bui del fascismo, per affermarsi definitivamente dopo la Liberazione, quando l’8 marzo del 1946 venne celebrata ufficialmente la prima Giornata della donna. E il nuovo corso per i diritti delle donne venne sancito dalle migliaia di mamme, mogli, lavoratrici si recarono a votare in massa al referendum del 2 giugno 1946. Nel decennio successivo, in Italia le richieste dei movimenti per i diritti delle donne si concentrarono sull’emancipazione e l’eguaglianza. E le donne lottarono per conquistare pari diritti e doveri rispetto agli uomini e nuovi spazi nella vita politica, e pure in quella privata.
Nel 1950 veniva varata la legge che vieta il licenziamento delle donne durante il primo anno di vita del bambino e introduceva il trattamento economico dopo il parto. Nel 1956 quella sulla parità retributiva tra uomo e donna. Nel 1963 vengono approvate le norme che vietano il licenziamento in caso di matrimonio, insieme ad altre che riconoscono la dignità del lavoro domestico. Il 1968 segnò come uno spartiacque la storia dell’emancipazione femminile: le donne scendevano in piazza rimettendo in discussione ruoli, diritti e doveri, chiedendo a gran voce un sistematico piano di riforme. Nel 1969 arrivò la depenalizzazione dell’adulterio, nel 1970 la legge sul divorzio, nel 1975 la riforma del diritto di famiglia. Nel 1977, grazie all’impegno del ministro del Lavoro Tina Anselmi, si sancì «il divieto di discriminazione nell’accesso al lavoro, nella formazione professionale, nelle retribuzioni e nell’attribuzione di qualifiche professionali».
Ma dopo 110 anni di lotte e rivendicazioni la strada da percorrere per una reale uguaglianza tra i sessi è ancora lunga. Venerdì 8 marzo in più di cento Paesi del mondo ci sarà uno sciopero delle donne organizzato dai movimenti femministi. In Italia lo sciopero generale dura ventiquattr’ore, coinvolge il settore pubblico e quello privato, ed è organizzato da “Non una di meno”. «Ci ammazzano nelle case e nelle strade perché ci pagano di meno, perché ci sfruttano e ci discriminano per il colore della pelle o per la nostra origine, ma anche perché molte di noi sono lasciate annegare in mare, dopo essere state torturate in Libia, e ancora, scioperiamo perché ci negano di essere cittadine, perché ci tolgono la protezione umanitaria, perché subiamo il razzismo in tutte le sue forme». Le attiviste di “Non una di meno” sul loro sito chiariscono che lo sciopero è stato indetto per protestare contro tutte le forme di violenza maschile sulle donne: dalla disparità salariale tra uomini e donne, agli ostacoli alla loro libertà riproduttiva, fino al sessismo, all’omofobia e al razzismo.
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