«Chi si crede di essere quello? Chi è qui la fottuta superpotenza?», gridò esasperato Bill Clinton, appena Benjamin Netanyahu uscì dallo studio ovale. Era il luglio 1996, l’israeliano era appena diventato premier e il presidente si aspettava che confermasse l’adesione agli accordi di Oslo con i palestinesi. Sono passati ventitré anni e Bibi si appresta ad ottenere il suo quinto mandato da primo ministro, il quarto consecutivo. Nel voto che si è tenuto ieri per rinnovare la Knesset, il Parlamento unicamerale israeliano, il partito di centrodestra del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (Likud) e il suo avversario -il centrista “Blu e Bianco”dell’ex militare Benny Gantz – hanno ottenuto circa il 29% dei voti, ma Likud e i suoi alleati di destra, secondo quanto riferiscono i media locali, hanno le migliori chance di riuscire a formare una coalizione che arrivi a 65 seggi e coinvolga quindi la maggioranza della Knesset (che è composta da 120 membri).
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— Benjamin Netanyahu – בנימין נתניהו (@netanyahu) April 10, 2019
«Sono molto emozionato. Questa è la notte di una vittoria immensa. Sia ringraziato il Cielo che siamo giunti a tanto»: con queste parole il premier Netanyahu ha esordito nel proprio intervento fra i sostenitori del Likud riuniti a Tel Aviv. «La nostra è stata una vittoria che non si poteva nemmeno immaginare – ha aggiunto il premier che era accompagnato dalla moglie Sarah – Il popolo di Israele mi ha confermato la fiducia per la quinta volta». Non ha stravinto, è stato un testa a testa con il rivale Benny Gantz, ma l’unico che può formare una coalizione di governo è ancora lui. Conquistando il quinto mandato Netanyahuhe è il premier più longevo di Israele, più di David Ben Gurion fondatore dello Stato.
Benjamin Netanyau è nato a Tel Aviv il 23 ottobre 1949. È stato il primo leader del Paese nato dopo l’indipendenza. Ma per spiegare il personaggio e le ragioni delle sue scelte politiche non possiamo tralasciare le origini: il nonno paterno, nato in Bielorussia ed emigrato in Palestina nel 1920, giornalista e polemista, firmava i suoi articoli col nome di Netanyahu, «dato da Dio». E ancor più a suo figlio Benzion, il padre di Bibi. Entrambi revisionisti e religiosi, opposti alla corrente principale socialista e laica del sionismo. Grazie alla decisione del padre di trasferirsi per la sua carriera accademica, Bibi ha vissuto negli Stati Uniti fin quasi ai 40 anni. Al college a Filadelfia si faceva chiamare Ben Nitay: Netanyahu era troppo difficile da pronunciare. Raggiunta la maggiore età, Ben tornò in Israele per arruolarsi nei reparti speciali, compiere missioni segrete, per poi tornare in America a proseguire gli studi. Salvo partire ancora, combattere la guerra del 1973 e tornare di nuovo a Boston a fare l’uomo d’affari.
La svolta fu nel 1975, a 25 anni, quando Colette Avital, nuova console israeliana a Boston, ne capì le potenzialità «con quella combinazione di forze speciali, accento americano e aspetto pulito». Fu un successo clamoroso: Bibi diventò l’invitato conteso da tutti i talk show d’America per spiegare i diritti d’Israele. Fu assunto all’ambasciata israeliana a Washington come portavoce, poi divenne ambasciatore. Nel 1996 diventa il primo ministro di Israele Fino al 1999. È poi stato Ministro delle Finanze fino al 9 aprile 2005, quando rassegnò le dimissioni in segno di protesta contro i provvedimenti messi in atto dal premier Ariel Sharon. Netanyahu riottenne la guida del Likud il 20 dicembre 2005 e, dal 31 marzo 2009, torna in carica, nonostante non abbia vinto le elezioni, per l’accordo concluso con il capo dell’estrema destra Avigdor Lieberman.
Tutta la sua politica si fonda sull’alternanza tra la paura e la forza. Israele è accerchiata dal nemico iraniano, che prepara l’atomica e nel frattempo arma, addestra, finanzia Jihad e Hamas a Sud, Hezbollah a Nord, il regime di Assad a Est. Ma Israele non è mai stata così sicura da quando Netanyahu dialoga con i satrapi del Medio Oriente, da Al Sissi ai sauditi, e stringe accordi con i potenti del mondo da Putin a Trump. Il presidente americano ha riconosciuto la sovranità israeliana sul Golan e appoggerà l’annessione di parte della Cisgiordania. È al centro di numerose inchieste: la più chiacchierata è quella sui regali, dallo champagne per la moglie ai sigari per lui, rigorosamente Cohiba Siglo V, i preferiti di Castro. E poi gioielli, viaggi aerei, pure biglietti per il concerto di Mariah Carey, che una famiglia con un patrimonio di 14 milioni di dollari si sarebbe tranquillamente potuta permettere. Ma sono più gravi le altre due inchieste che incombono. Il premier è accusato di scambiare favori con l’editore di Yediot Ahronot, il quotidiano più importante, e con il gigante delle telecomunicazioni Bezeq, proprietario di un sito web certo non ostile. Gli prospettavano la galera, ma avrà altri quattro anni di governo.