L’Italia è ancora troppo attaccata al contante. Nonostante nel nostro Paese si registrino lievi miglioramenti sull’utilizzo di altre forme di pagamento, il cash resta la modalità preferita per le transazioni. E non è affatto un bene, dato che la mancata tracciabilità dei pagamenti agevola l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro sporco. Ma il mal costume non è solo sociale, imputabile alle abitudini di una popolazione troppo vecchia per passare alle carte di credito, ma anche all’inerzia del legislatore.
L’Osservatorio Community Cashless Society di The European House – Ambrosetti ha mappato 95 economie al mondo e i risultati dicono che l’Italia è al 32esimo posto per incidenza del contante misurata dal Cash Intensity Index, pari al rapporto tra il Pil e il valore del contante in circolazione. In altri termini, ne gira troppo, a svantaggio dei moderni sistemi virtuali che però comportano controlli maggiori. Nel dettaglio, secondo le stime dell’Osservatorio, nel 2018 il contante in circolazione in Italia ha raggiunto i 205,7 miliardi di euro. Valore che ha continuato ad aumentare dal 2008 (anno in cui era pari a 127,9 miliardi) a oggi. La crescita maggiore proprio nell’ultimo biennio: nel 2018 la variazione è stata pari a +4,0%, rispetto al +3,8% nel 2017.
Secondo le stime del rapporto, il passaggio a una cashless society permetterebbe di ridurre considerevolmente l’evasione. In Italia, viene ricordato, l’economia sommersa ammonta a circa 210 miliardi, pari al 12,4% del Pil, di cui 192 miliardi sono generati dal sommerso, il resto è dovuto alle attività illegali. Con le dovute riforme, l’Osservatorio stima una riduzione dell’incidenza dell’economia sommersa e del Vat gap (l’evasione data dalla differenza tra l’Iva dovuta e quella raccolta) e un recupero compreso tra gli 11,3 e i 63,5 miliardi di euro.
Per l’Osservatorio sarebbe bene ripristinare le sanzioni per gli esercenti e i professionisti che non accettano i pagamenti con il Pos (il terminale che permette di pagare con carte di credito e di debito). La norma esisteva, ma, come ricorda il report, è stata depennata dal Consiglio di Stato il primo giugno 2018. In più, si chiede l’introduzione di una percentuale minima obbligatoria da sostenere “cashless” per le spese annue in cambio della detraibilità dalle tasse e di affidarsi ai pagamenti elettronici per gli assegni sociali e pensionistici. Non piacerà a molti l’ultima richiesta: abbassare nuovamente il tetto del contante a 1000 euro, come era stato fatto da Mario Monti, poi riportato a 3000 da Matteo Renzi.
Interventi mirati del legislatore hanno permesso a Slovenia, Irlanda, Belgio, Polonia e Grecia di fare passi da gigante verso la digitalizzazione. L’Irlanda è stata tra le prime a legiferare in materia, fin dal 2002. Attualmente è il National Payments Plan del 2013 la misura chiave che ha portato a raddoppiare il numero dei pagamenti elettronici pro-capite dal 2011 al 2016. Sta dando i suoi frutti anche il piano polacco avviato nel 2017. L’obiettivo è raggiungere in cinque anni la quota del 50% di cittadini che interagisce online con la Pa, spostando online circa l’80% delle pratiche legate a documenti di identità, tasse e fatture e, per ultimo, installare 600 mila nuovi Pos. A tal fine, l’installazione del terminale per chi aderisce è pagata dallo Stato, che copre anche il costo delle commissioni bancarie per il primo anno. In Grecia l’accelerazione per diventare una cashless society è legata a doppio filo alla cura di cavallo somministrata al Paese dalla Troika, partendo da una seria lotta all’evasione fiscale. Nel 2016 il Governo ha imposto l’obbligo in capo a negozianti e liberi professionisti di ricevere pagamenti con carta elettronica nonché a tutti i contribuenti di pagare “cashless” una quota delle spese annuali per beneficiare della detraibilità delle tasse. Solo negli ultimi quattro anni, la crescita del numero di transazioni pro-capite con carta di pagamento ha avuto un’accelerazione del +481,5%.