Armando Siri, sottosegretario ai Trasporti della Lega, è indagato per corruzione dalla Procura di Roma nell’ambito di un’inchiesta nata a Palermo. In seguito ad accertamenti svolti dalla Direzione investigativa antimafia di Trapani viene ipotizzato uno scambio «di favori, utilità e denaro» per agevolare le aziende considerate vicine all’imprenditore trapanese dell’eolico Vito Nicastri, da un anno agli arresti domiciliari, che secondo gli investigatori ha coperto e finanziato la latitanza del superlatitante Matteo Messina Denaro. «Non ne sono niente, non so se ridere o piangere. Io non mi sono mai occupato di eolico in tutta la mia vita. Sono senza parole», ha detto all’Adnkronos il sottosegretario Siri.
L’ipotesi accusatoria è che «abbia messo a disposizione la sua funzione politica di senatore e sottosegretario» e di questo dovrà adesso rispondere. Il sottosegretario, secondo l’accusa, avrebbe ricevuto denaro per modificare un norma da inserire nel Def 2018 che avrebbe favorito l’erogazione di contributi per le imprese che operano nelle energie rinnovabili. Norma però mai approvata. Il Corriere della Sera scrive che per favorire l’approvazione della legge gli erano stati promessi in cambio 30mila euro.
LEGGI ANCHE: La Corruzione è una montagna di merda
Tra gli indagati c’è anche il docente universitario, Paolo Arata, genovese come Siri, 68 anni, ex deputato nazionale di Forza Italia e, nel 1994, presidente del Comitato interparlamentare per lo sviluppo sostenibile: Matteo Salvini gli affidò la stesura del programma di governo della Lega sull’Ambiente. Anche Armando Siri fu uno dei professori che, per «Noi con Salvini», si occupò di economia, riforma fiscale e flat tax. Secondo l’ipotesi investigativa, Arata sarebbe stato uno dei personaggi che avrebbero avuto contatti e fatto da tramite con Siri.
Armando Siri era finito al centro di un caso dopo che l’Espresso aveva rivelato il suo patteggiamento a un anno e otto mesi per il reato di bancarotta fraudolenta: la sua società, la Mediatalia, aveva lasciato un debito di un milione euro e 162 mila di tasse non pagate. Lui ha però sempre negato le accuse, durante una puntata di Report spiegò: «Non ho mai commesso alcuna bancarotta». I giudici che hanno scritto la sentenza la pensavano però diversamente, chiamando in causa Siri e i suoi soci per aver svuotato la società e messo al sicuro un tesoretto in un paradiso fiscale. Di recente, si è detto pronto a spazzare via l’Anac, l’autorità anticorruzione: «Siamo l’unico Paese – ha dichiarato – che ha un ente ulteriore contro la corruzione, diamo per scontato che siamo tutti corrotti e dobbiamo curarci, io penso che sia il contrario: siamo tutti persone corrette fino a prova contraria». Adesso, è lui che deve difendersi dall’accusa di corruzione.