Diciannove su 630. Tanti erano i deputati presenti alla discussione generale per l’istituzione della Commissione d’inchiesta sul caso di Giulio Regeni, il ricercatore friulano ucciso in Egitto. Otto i parlamentari del Pd, 5 del Movimento Cinque Stelle, 2 di Leu, altrettanti di Lega e Forza Italia. Nessuno di Fratelli d’Italia. I pochi presenti annunciano che daranno il via libera all’istituzione della Commissione, che avrà 12 mesi di tempo per «chiarire le responsabilità che hanno portato alla morte di Giulio Regeni» e dovrà «verificare fatti, atti e condotte commissive e omissive che abbiano costituito o costituiscano ostacolo, ritardo, o difficoltà».
In fondo se in aula ci fossero stati 630 deputati non sarebbe cambiato nulla. L’ok alla commissione parlamentare d’inchiesta che proverà a fare luce sulla morte di Giulio Regeni sarebbe arrivato lo stesso. Ma la politica vive anche di simboli e una Camera dei deputati gremita in un periodo di vacanza e a pochi giorni dall’ennesimo appello dei genitori di Giulio avrebbe trasmesso, senza dubbio, un messaggio molto forte. L’appello di Paola e Claudio Regeni era stato rilanciato dal presidente della Camera Roberto Fico che ha chiesto ai partiti di non dividersi e per una volta condividere la battaglia di verità. Sono arrivate decine e decine di dichiarazioni di solidarietà. Ma le parole non costano. Al primo, timido passo per Giulio, quello di istituire una commissione parlamentare, in aula erano presenti solo 19 deputati.
In aula di @Montecitorio si discute della commissione di inchiesta sulla morte di Giulio #Regeni pic.twitter.com/O0cgDB5nD5
— nomfup (@nomfup) April 29, 2019
Le assenze vengono sottolineate dal dem Filippo Sensi, che twitta due foto in bianco e nero dell’Aula vuota accompagnate dal laconico post: «In aula di Montecitorio si discute della commissione di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni». La discussione è arrivata a pochi giorni dall’incontro del premier Conte con il capo di Stato egiziano, in cui aveva fatto presente l’insoddisfazione italiana: «Nessun passo avanti. Non mi fermerò finché non ci sarà la verità». Il ricercatore friulano fu trovato morto e con evidenti segni di tortura il 4 febbraio 2016 nella periferia della capitale egiziana. Ad aprile 2016 il governo italiano aveva provveduto al ritiro dell’ambasciatore, in attesa di chiarimenti sul caso, ma la decisione era stata poi rivista il 14 agosto 2017. Nel frattempo la richiesta di una verità da parte della famiglia di Regeni e il lavoro della Procura di Roma non si sono mai interrotti. Con i pm che hanno dovuto affrontare le resistenze della controparte egiziana e i continui depistaggi per complicare la ricostruzione di quanto successo al ricercatore italiano tra il 25 gennaio e il 4 febbraio del 2016 al Cairo. Dopo l’ennesima spedizione a vuoto dei magistrati italiani, il 29 novembre scorso il presidente della Camera, Roberto Fico, aveva scelto in autonomia di rompere le relazioni diplomatiche con il Parlamento egiziano. Mentre i magistrati romani sono andati avanti con l’inchiesta iscrivendo 5 persone nel registro degli indagati.
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