«Credevamo che fosse una spia inglese, lo abbiamo preso, io sono andato e dopo averlo caricato in macchina abbiamo dovuto picchiarlo. Io l’ho colpito al volto». Non solo una confessione, sia pure indiretta. Dopo tre anni, l’uomo che ha rapito e consegnato alla morte Giulio Regeni ha finalmente un volto. Si tratta di Sharif Magdi Abdelal, 35 anni, ufficiale della National Agency Security, i servizi segreti egiziani che lavorano per il governo. È quanto emerge, come riportato dal Tg La7, dai documenti inviati dalla Procura di Roma a quella del Cairo, sui quali c’è già stato un primo confronto telefonico tra il premier Conte e il presidente egiziano Al-Sisi.
È stato lo stesso Sharif Magdi Abdelal a confessare cosa ha fatto a Giulio: «Caricammo il ragazzo in macchina e io stesso lo colpii più volte duramente al volto». Siamo nel 2017. Al tavolo di un ristorante di un Paese africano sono seduti gli uomini dell’intelligence. Parlano della sicurezza interna dell’Egitto con un ufficiale ai vertici della National Agency Security egiziana che confessa, sia pur indirettamente, la sua partecipazione al sequestro di Giulio Regeni. Per sua sfortuna al tavolo accanto c’è un uomo che, in grado di capire l’arabo, ha ascoltato tutta la conversazione. Il testimone è sicuro che a parlare fosse Sharif Magdi Abdelal perché alla fine del pranzo ha visto Sharif porgere un biglietto da visita al suo interlocutore.
Una testimonianza che può rappresentare una svolta nell’inchiesta e che è riconosciuta come attendibile dal procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e dal sostituto Sergio Colaiocco, che hanno già inoltrato una nuova rogatoria al Cairo a seguito di queste rivelazioni. Un punto sul quale anche il premier Conte è intervenuto, specificando di avere sentito in serata il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi per parlare del caso Regeni e per fare un punto sulla crisi libica. Per la procura egiziana sul caso Regeni non ci sono elementi sufficienti per avviare un processo. Al contrario per i magistrati italiani, che insieme agli investigatori del Ros dei carabinieri e dello Sco della polizia stanno cercando da oltre tre anni di raccogliere ogni elemento utile a scoprire la verità sul sequestro, le torture e l’omicidio di Regeni, con un’inchiesta parallela a quella della Procura generale del Cairo, le nuove dichiarazioni del testimone sono molto importanti.
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La sera del 25 gennaio 2016, l’anniversario della rivoluzione del 2011, dopo le 19.30 Giulio esce dalla sua casa di Dokki per raggiungere un amico italiano e si dirige a piedi verso la fermata della metropolitana. Alle otto meno dieci manda l’ultimo sms, poi sparisce. Sparisce perché, secondo il racconto di Sharif Magdi Abdelal , viene caricato a forza in una macchina della National Security. «Io stesso l’ho colpito più volte», ha detto Sharif ammettendo il suo coinvolgimento nel tragico destino di Giulio. Finora dell’ufficiale egiziano si sapeva solo che aveva compiuto accertamenti sulla figura del ricercatore friulano. Sharif Magdi Abdelal è uno dei cinque che la Procura di Roma ha iscritto sul registro degli indagati con l’accusa di sequestro di persona.
Se per gli inquirenti egiziani non ci sono elementi utili ad avviare un processo, secondo quelli italiani ci sono indizi sufficienti a ipotizzare il coinvolgimento del generale Sabir Tareq, del colonnello Uhsam Helmy, del maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, dell’assistente Mahmoud Najem (tutti in forza alla Ns) e del colonnello Ather Kamal, all’epoca capo della polizia investigativa del Cairo e coinvolto anche nel depistaggio con cui si voleva chiudere il caso addossando ogni responsabilità a una banda di criminali comuni, uccisi in un presunto conflitto a fuoco. Finora ci si era basati essenzialmente sull’elaborazione dei tabulati telefonici e le testimonianze raccolte in Egitto, a cominciare da quella del sindacalista Mohamed Abdallah, il finto amico di Regeni che l’ha denunciato alla polizia del Cairo. Ora si aggiunge una prova testimonia che arricchisce la stessa ipotesi investigativa.