«Mi fa piacere che Salvini abbia fatto marcia indietro» sul reato di abuso d’ufficio. «Adesso vuole migliorarlo e c’è una bella differenza», ha detto il vicepremier Luigi Di Maio. La proposta di abolizione dell’articolo 323 del codice penale, vale a dire l’abuso d’ufficio, lanciata dalla Lega ha aperto un nuovo fronte all’interno alla maggioranza. Un’eventualità che aveva fatto sobbalzare i 5 Stelle e che fa dire a Di Maio: «No alle leggi ad partitum». Il riferimento, neanche velato, è agli amministratori della Lega che sono finiti sotto inchiesta nelle ultime settimane proprio per reati legati alla corruzione.
Poi, di fronte alla presa di posizione sul tema del presidente dell’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, che da una parte si è detto contrario all’abolizione del reato, dall’altra ha detto di considerare «opportuno che ci sia uno spazio per pensare una modifica», il vicepremier leghista ha “aggiustato il tiro”: «Sono d’accordo con Cantone e l’ha detto anche Conte – ha affermato Salvini – L’abuso d’ufficio va rivisto». Parole che sono state colte in maniera positivo da M5s. «Adesso vuole migliorarlo e c’è una bella differenza rispetto alla volontà di abolirlo», ha sottolineato il vicepremier pentastellato, Luigi Di Maio.
Un reato che solo per andare alle cronache più recenti ha colpito sia a destra che a sinistra. Per abuso d’ufficio è indagato ad esempio il governatore leghista della Lombardia Attilio Fontana (avrebbe cercato di favorire un suo socio di studio per un incarico nella regione da lui amministrata). Dello stesso reato deve rispondere la presidente della regione Umbria, Catiuscia Marini, del Pd, per le nomine «pilotate» di alcuni primari ospedalieri. Nemmeno i Cinquestelle sono stati risparmiati e il caso più illustre riguarda la sindaca di Roma Virginia Raggi: è indagata per la costruzione del nuovo stadio della Roma (per non aver sottoposto la pratica urbanistica ad alcune commissioni consiliari).
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Dal 2008 al 2019 sono state circa 150 le condanne definitive per questo reato tipico della pubblica amministrazione, spesso associato ad altre violazioni del codice (falso, corruzione, turbativa d’asta). Ma molto più numerose sono state le assoluzioni e i proscioglimenti. Il testo afferma che si macchia di abuso d’ufficio «il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto». Va, dunque, dalla «raccomandazione» a una gara pubblica «pilotata».
L’abuso d’ufficio è un reato particolarmente difficile da dimostrare, qualora non celi un più grave fatto di corruzione o concussione. L’illecito è disciplinato dall’articolo 323 del codice penale che ormai da tempo numerose procure della Repubblica tendono a non applicare per l’oggettiva difficoltà di dimostrarlo nel corso del processo. Non è la prima volta che si parla di una riformulazione dell’articolo 323 , l’ultima riscrittura risale al 1997 e in quel caso passò una correzione in chiave più permissiva e la pena massima fu anche abbassata da 5 a 4 anni (cosa che oggi impedisce ad esempio di effettuare intercettazioni telefoniche quando la procura sospetta l’esistenza di questo reato).