A vent’anni sei un ancora troppo giovane protagonista della vita per poter attribuire un peso specifico a un’emozione. Eppure chi scrive sa di poter affermare con certezza che, in questo scarso quasi quarto di secolo vissuto, quella scaligera di domenica scorsa è stata una botta troppo forte da gestire. Piazza Bra gremita, attesa febbrile per chi attende l’apertura dei cancelli e per trovare posto nelle gradinate. L’evento è unico ma di certo non senza precedenti. Eppure, tra i presenti aleggia quel filo di strana e malinconica rassegnazione che è insito in tutto ciò che si fregia del connotato dell’unicità. L’irripetibilità: l’eccezione sta proprio nella singolarità di ciò che non potrà più accadere. Una carriera artistica – come una vita umana – inizia a finire proprio al momento del suo esordio e si avvia così consapevole a un’ineluttabile conclusione. Senza alcuna pretesa retorica, ciò che resta è un Maestro. Dove la “M” è maiuscola non solo nel cognome.
Final concerts suona più come un monito che come una dizione. Un tour mondiale che ha celebrato l’anniversario di ben oltre mezzo secolo di carriera e lo ha fatto con più di 50 concerti in almeno 35 città europee. Ci sono colonne sonore che valicano una carriera e un’intera esistenza, incarnando e sublimando le umane passioni alle vette più elevate e celestiali. Con Ennio Morricone si personifica l’idea di indimenticato e indimenticabile. Sia questa la trilogia del dollaro o la leggenda della singolare storia di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, abbandonato ancora neonato sul pianoforte della prima classe del piroscafo Virginian, trasposta sul grande schermo da Tornatore dal brillante monologo teatrale di Alessandro Baricco. Nel mezzo ci sono Luciano Salce, Camillo Mastrocinque, Bernardo Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Carlo Lizzani, Gillo Pontecorvo, e ancora Lattuada, Bolognini, Ferreri, Petri, Montaldo, Almodóvar, Levinson e Olmi.
È storia, della musica e della cinematografia internazionale. Uno spaccato di storia – italiana e non – e di storie, le tante raccontate in altrettanti capolavori senza tempo. E cos’è una vittoria di un Oscar più volte sfiorata con “I giorni del cielo” di Terrence Malick (1979), “Gli Intoccabili” di Brian de Palma (1988), “Bugsy” di Barry Levinson (1992), “Malèna” di Giuseppe Tornatore (2001), di fronte a tre Grammy Awards, quattro Golden Globes, sei BAFTA, dieci David di Donatello, undici Nastri d’Argento, due European Film Awards, un Leone d’Oro alla carriera e un Polar Music Prize? Non sono i riconoscimenti a eternare l’arte ma questa segue un filo a sé, indipendente, che si spiega e si svolge in piena autonomia. Ne sono prova i 650.000 che hanno risposto con entusiasmo al 60 Years of Music World Tour.
Nel diluvio di un’Arena ugualmente sold out Morricone è accolto come una popstar. Siamo ben più di qualche migliaio. Tutti con la medesima consapevolezza che stavolta è un congedo ufficiale, definitivo. Un po’ come accade per quella transitoria delusione che si prova al momento dei saluti di qualche strapagato ed esigente calciatore con quell’ambiente che tante volte ne ha acclamato il nome in curva. Lui, lento, si indirizza al podio. Ennio. Al suo arrivo, provvidenziale, smette di piovere. Quella struggente sortita del love theme epico-storico de “La Tenda Rossa” è probabilmente tra i momenti più alti e inattesi dell’intero programma. C’è la musica, e questa basta. Le immagini sono superflue, ormai mero completamento e corredo a brani e colonne sonore riconoscibili e amatissime: la prova che la musica da film ha una sua funzione autonoma e distinta. Ed è forse questo il vero miracolo del Maestro. Un vero unicum nel suo ambito. In scaletta non c’è il tema di Deborah da “C’era una volta in America” ma “Romanzo” di Novecento. E incalza tutta la lotta contadina della vicina Emilia mentre “Atame!” di Almodóvar è trait d’union con “Ostinato ricercare per un’immagine”, l’unica composizione di musica assoluta “extra cinema” che da anni si porta dietro.
Dalla melodia di “Nostromo”, serie tv di fine anni ’90, si passa poi alla modernità del mito di Sergio Leone e scoppia il diluvio. E lì, sotto una fitta cortina di pioggia, migliaia di spettatori applaudono nell’arcobaleno delle loro leggere mantelline. La musica unisce e descrive i sentimenti. C’è l’estasi – non solo quella dell’oro – e la “Luz Prodigiosa” di Dulce Pontes, regina del fado. Un ascolto fluido ed eterogeneo delle hit più celebri, probabilmente nella migliore selezione mai realizzata per il programma di un concerto in Arena. Tutta l’aria del moderno western e l’ultima sanguinaria diligenza per Red Rock, con la tensione di archi e fiati, si stagliano contro il grande cinema dell’impegno: “La battaglia di Algeri”, “Sacco e Vanzetti”, “Indagine su un Cittadino al di Sopra di Ogni Sospetto”, “Sostiene Pereira”, “La classe operaia va in paradiso”, “Vittime di Guerra” e “Aboliçao” (Queimada). Ci sono tutte le pagine di musica e sono tra le più belle mai scritte per il cinema. 90 anni e 60 di carriera. Un Oscar alla Carriera e quello vinto con “The Hateful Eight” di Tarantino, forse per la confezione musicale meno epocale. I più avranno realizzato solo ex post di aver assistito a un evento storico. Con un po’ di audacia, paragonabile a un saluto di Haydn o Mozart dalle esecuzioni dal vivo.
Un rispettoso inchino, applausi e standing ovation. Un commiato composto, come si addice a un elegante e discreto signore di una certa età. La pioggia si placa su un finale atteso e insuperabile, sulle prima note dell’oboe del gesuita padre Gabriel di Jeremy Irons, in ideale dicotomia con le cascate di “Mission” di Roland Joffé. Ci si potrebbe vedere una straordinaria coincidenza se, dopo due ore di pioggia battente, bastano appena tre minuti di coro a schiarire il cielo in un momento che si impregna di lirismo e spiritualità. C’è l’ingiustizia più grande di quell’Oscar meritatissimo e clamorosamente sfumato. Ma Morricone è una popstar che concede tre bis dei pezzi più acclamati e saluta con “Nuovo Cinema Paradiso” quegli oltre 10.000 che eppure non si rassegnano all’idea che questa è davvero l’ultima volta. Almeno per noi. Almeno in Arena. Morricone ultimo atto: parla la musica. Grazie Ennio, per queste emozioni, per questa traduzione musicale di umane passioni che solo tu sei riuscito a restituire in modo così eccelso. Un’eccellente bandiera italiana, un incommensurabile servizio alla settima arte.