L’eccezionale ondata di caldo di questi giorni, lascerà dietro di sé una lunghissima scia di record storici su molte zone d’Europa. Il termometro si proietta a sfondare i 40 gradi in Italia, Francia e Germania. Oggi la giornata più critica. Tutta colpa del cambiamento climatico: l’aumento di temperatura indotto da emissioni di gas a effetto serra, come anidride carbonica (CO2) e metano (CH4), dovuto alle attività inquinanti dall’uomo. Per fare qualche esempio, la combustione di fonti fossili come il petrolio, la deforestazione o gli allevamenti intensivi di animali.
Degna di nota è la situazione francese. Sono infatti già numerose le allerte emanate dall’Agenzia meteorologica nazionale Météo France che avverte della possibilità che si raggiungano valori davvero eccezionali su molte zone del Paese. Sono previsti valori termici record: a Parigi dove si potrebbero toccare picchi intorno ai 40°C ma con indici di calore ben superiori e fino a 47 gradi a causa dell’elevato tasso di umidità. Allarme clima anche in Germania con picchi tra i 39 e i 40 gradi. La temperatura elevatissima impone misure straordinarie: sulle autostrade tedesche arriva un limite di velocità imposto dalla possibilità che il calore produca crepe sul manto stradale. Si tratta di un’ondata di caldo shock e di portata storica per fine giugno, per altro ben peggiore di quella avvenuta nell’estate del 2003 quando vi furono temperature più elevate solo nel mese di agosto provocando migliaia di vittime.
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La concentrazione dei gas a effetto serra ha iniziato ad aumentare in maniera evidente dalla Rivoluzione industriale dell’800, ma negli ultimi 50 anni la situazione è sfuggita di mano. La temperatura globale è cresciuta di 0,8 gradi celsius dal 1880 ad oggi, secondo dati Nasa, ma circa due terzi del riscaldamento si è consumato solo dal 1975 ad oggi: un tasso di crescita dello 0,15-0,20 gradi centigradi a decennio. Con questo ritmo, avverte il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc), si potrebbe registrare una crescita di 1,5 gradi centigradi tra il 2030 e il 2052. La soglia, già critica, rischia di essere sfondata ancora. Alcuni dati parlano di un incremento tra i 2,8 e i 5,6 gradi centigradi nell’arco di 85 anni.
Un innalzamento della temperatura già oltre i 3-4 gradi centigradi significherebbe carenza di cibo e acqua potabile, inondazione delle zone costiere e decuplicazione della frequenza di eventi estremi rispetto ai valori del 2010. Si legge spesso che qualsiasi cittadino è responsabile del climate change, perché contribuisce indirettamente alle emissioni e al riscaldamento dell’atmosfera. Niente di più vero. Le emissioni inquinanti provengono da servizi e tecnologie che usiamo abitualmente, anche quando ci spostiamo su gomma o accendiamo un condizionatore. L’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti stima che il 76% delle emissioni derivi dalle emissioni di Co2 il 16% dal metano, il 6% dall’ossido di diazoto, più un ulteriore 2% dagli F-gas. Più nel dettaglio, il 25% delle emissioni globali arriva da elettricità e sistemi di produzione calore, il 21% dall’industria, il 24% da agricoltura e deforestazione, il 14% dai trasporti, dalle auto agli aerei, il 6% dalle abitazioni.
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Le conseguenze del fenomeno sono visibili anche a occhio nudo: lo scioglimento dei ghiacci nelle zone artiche e antartiche, con successivo innalzamento del livello dei mari, dilatazione degli oceani, erosione delle regioni costiere e inondazioni; il moltiplicarsi dei fenomeni metereologici estremi; deterioramento sulla qualità dell’aria e concentrarsi delle precipitazioni in periodi delimitati dell’anno; carestie e periodi di siccità, con conseguenze deleterie sulla sicurezza del cibo e delle risorse idriche. Oggi l’allarme clima è al centro di agende politiche, tensioni internazionali, strategie economiche e mobilitazioni di massa. «La crisi climatica è la più grande crisi che l’umanità si sia trovata ad affrontare, e se non facciamo niente ora, siamo rovinati», per dirla con le parole della giovane attivista Greta Thunberg.