Tutti contro Alexis Tsipras in una Grecia chiamata al voto anticipato. Dalla sinistra radicale che non perdona al premier di aver assecondato le politiche di austerità imposte dalla Ue ai conservatori che lo attaccano per le scelte di legalizzare la cannabis e rafforzare i diritti nelle unioni omosessuali. Ad Alexis Taipras non è bastato l’aver portato fuori il Paese dal commissariamento della Troika, né l’aver ridotto la disoccupazione (scesa dal 26% al 18%) e rilanciato il Pil (+1,9% nel 2018). Dopo la pesante sconfitta alle europee del 26 maggio, vinte dal centro-destra di Nea Demokratia con 10 punti di vantaggio su Syriza, il premier ha convocato elezioni anticipate. Il voto di oggi potrebbe chiudere la parabola di Tsipras, iniziata 4 anni fa quando fu chiamato a risollevare un Paese al collasso economico.
Alexis Tsipras segue il percorso tradizionale della militanza nella sinistra radicale, ma la complessa congiuntura della crisi economica e del debito sovrano greco gli offrono tuttavia un’occasione politica irripetibile. Syriza, la coalizione di sinistra, movimenti ed ecologisti costruita e guidata da Tsipras, strappa rapidamente consensi agli screditati social-democratici. Alle elezioni politiche nazionali nel 2015 si afferma addirittura prima forza politica con più del 36%. Il leader di Syriza diventa primo ministro, mentre assurge alla fama internazionale: un’altra Europa sembra possibile, e la fascinazione per Tsipras coinvolge le sinistre di tutto il mondo, compresa l’Italia, dove si aggrega addirittura una lista in suo nome in occasione delle elezioni europee del 2014.
LEGGI ANCHE: Il mea culpa di Juncker sulla crisi in Grecia
A fare da catalizzatore per il successo mediatico è la battaglia contro l’Europa dell’austerity: lo scontro con la Trojka (Fmi, Bce e Commissione Europea) sulla ricostruzione del debito greco anima il dibattito europeo. Poi il referendum nazionale sull’approvazione del piano di misure proposto dai creditori internazionali. Il risultato è netto: Oxi, il “no” al pacchetto di misure imposto dall’Ue, trionfa al 62%. Ma la volontà dei greci viene tradita il 13 luglio 2015 quando il governo, dinnanzi alla marcata intransigenza dei creditori verso la proposta di ristrutturazione governativa, accetta a sorpresa un piano ancora più rigido di quello bocciato dagli elettori: tagli pesantissimi alla spesa pubblica, alla fiscalità e agli investimenti in cambio dei prestiti internazionali di 85 miliardi di euro, elargiti in tre anni se corrisposti dall’effettivo rispetto degli accordi.
Il premier è costretto alle dimissioni dalla rivolta interna al suo partito e dall’incandescenza dell’opinione pubblica. Alla fine del 2015 si celebrano dunque nuove elezioni e Tsipras, in assenza di qualsiasi alternativa credibile, riesce a ottenere di nuovo la maggioranza per concretizzare gli impegni presi in Europa. Un anno fa è riuscito a portare il paese fuori dalle “tutele” della Troika, riuscendo ad abbassare la disoccupazione dal 26 al 18% e rilanciato la crescita. Ma sembra non essere bastato: alle ultime elezioni europee il partito di Tsipras si ferma al 23% superato di 10 punti dal centro-destra di Nea Demokratia. È la fine del rampante enfant prodige della sinistra mondiale, che indice nuove elezioni anticipate le quali, verosimilmente, chiuderanno la sua esperienza politica alla guida del Paese.