Boris Johnson è premier del Regno Unito da qualche ora, ma sta già scatenando il nervosismo dei suoi avversari e dei suoi partner politici. Il timore che incombe riguarda la principale proposta, o minaccia, sbandierata da Johnson in campagna elettorale: la Brexit senza accordo, il cosiddetto no-deal. Boris Johnson entra a Downing Street con la determinazione dell’uscita dalla Ue il 31 ottobre «senza se e senza ma». «Faremo un nuovo accordo e sarà un accordo migliore», ma dice anche che la Gran Bretagna deve prepararsi alla «remota» possibilità di una Brexit senza accordo con l’Ue, sottolineando che non vuole che questo accada, ma che il buon senso impone di prepararsi a un tale scenario.
LEGGI ANCHE: Boris Johnson è il nuovo leader dei conservatori britannici: «Brexit il 31 ottobre»
Un rischio preso in considerazione anche dagli analisti, come testimoniano le varie allerte lanciate anche da colossi come l’agenzia di rating Moody’s. Ma il no-deal non è immediato come pensa Johnson. Da un lato c’è lo scoglio del Parlamento britannico intenzionato in maggioranza a evitare una cesura brusca con l’Europa. Dall’altro c’è l’Ue che farà il possibile per aggirare un’opzione che provocherebbe danni a entrambe le parti in causa. Il 18 luglio, cinque giorni prima della nomina ufficiale di Boris Johnson a leader dei Tory, un gruppo trasversale di deputati ha fatto approvare con 41 voti di maggioranza un emendamento progettato per evitare una Brexit senza accordi. Il testo impedisce al premier di sospendere l’attività del Parlamento per aggirarne il parere e dare il via libera a un divorzio senza accordi dalla Ue. Una mozione votata anche dai Tory: all’interno del suo partito non tutti tifavano per Johnson e ha già dovuto subire le dimissioni di due ministri, mentre altri tre membri del governo sono in uscita: il cancelliere dello Scacchiere Philip Hammond, il ministro della Giustizia David Gauke e il ministro dello Sviluppo internazionale Rory Stewart. Il loro addio potrebbe innescare un effetto domino rischioso per la tenuta dell’esecutivo e della maggioranza già fragile a Westminster.
Da parte sua l’Ue ribadisce che il negoziato e chiuso e non c’è alcun margine di trattativa. Ursula von der Leyen, il presidente della Commissione che entrerà in carica il primo novembre, ha già detto di essere «disposta a garantire una ulteriore proroga al recesso nel caso in cui fosse necessario più tempo per motivi validi». Ma non ha parlato di una riscrittura dell’accordo raggiunto con Theresa May.