Ci ha lasciati anche Rutger Hauer, il replicante di Blade Runner. Nello stesso anno in cui era ambientato il film e in cui moriva il personaggio di Roy Batty che – con quello sguardo vitreo e tutta la sua ambiguità – aveva portato sul grande schermo. Aveva 75 anni. La conferma è giunta dall’agente Steve Kenis che ha partecipato a Variety la notizia del decesso avvenuto il 19 luglio nella sua casa olandese dopo una breve malattia. Rutger Hauer, ossia la sintesi perfetta del cavaliere. Al di là del film di fantascienza che ne ha eternato l’immagine, il cuore delle sua carriera trova la quadra nel cinema medievale in costume. Cotta di maglia e armatura: l’humus ideale per quell’alone di sintomatico mistero che, anche in una dimensione ben lontana dal kolossal, emanava e amplificava tutto il fascino del prode a cavallo. Dall’esordio televisivo con Floris all’amatissimo Ladyhawke. Da eroe a villain poi – si sa – spesso il passo è breve. Un volto dai tratti eleganti, regali, mai particolarmente conciliante e indulgente. L’eroe sì, ma in quella speciale incarnazione che ne costituisce un unicum. Uno sguardo ermetico, irrisolto ma perfetto per ogni eventuale declinazione del feudalesimo e della cavalleria. Il portato di una vita intensa e di una carriera comunque sconfinata.
Nato in Olanda, a Breukelen, il 23 gennaio del 1944 da Arend e Teunke, entrambi attori drammatici con altre tre figlie, Rutger è un giovane inquieto: a soli quindici anni, seguendo le orme del nonno, si imbarca su un piroscafo mercantile per circa un anno. Espulso da scuola, si arruola in Marina dove vive una breve esperienza, fingendo di avere problemi psichici per sfuggire a un ambiente che non gli è proprio e viene spedito in un istituto psichiatrico. È lì che inizia a frequentare una scuola serale di arte drammatica e di recitazione, dedicandosi anche alla scrittura di poesie nei principali coffee shop di Amsterdam. Tra genio, versatilità e sregolatezza, si cimenta in svariate attività lavorative: macchinista di teatro a Basilea, elettricista e guida alpina. Nel ’69 sbarca sul piccolo schermo con la serie Floris, ambientata nel medioevo sul modello di Ivanhoe di Sir Walter Scott. Hauer impersona un valoroso cavaliere: alto, imponente, e occhi azzurro ghiaccio. Lo sguardo, freddo ma passionale, è il marchio che lo contraddistinguerà nell’immaginario collettivo. Affetto da daltonismo, riesce, proprio grazie a quegli occhi, a impersonare l’intellettuale, il cattivo, il romantico, l’uomo d’azione. Già nel ’73 è sul grande schermo con Fiori di carne di Paul Verhoeven, al quale segue Il seme dell’odio, ambientato in Sudafrica, con Michael Caine e Sidney Poitier. Viene così notato da Hollywood, dove esordisce nell‘81 a fianco di Sylvester Stallone ne I falchi della notte.
La consacrazione arriva l’anno successivo con il cult Blade Runner di Ridley Scott, successo internazionale che lo vede interpretare il replicante filosofo che gli varrà la popolarità. In quello che è ormai considerato un classico della fantascienza, Hauer si impone riscrivendo la frase finale del film, cambiando liberamente una parte della battuta originale dello script di David Webb Peoples. Al termine delle riprese della scena – ha testimoniato il regista – persino gli operatori rimasero commossi. Nei panni di Roy Batty, replicante che non vuole morire e con un passato da ex militante nei corpi speciali extramondo, è protagonista di un monologo che darà vita a una delle più famose citazioni della storia del cinema: “io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo… come lacrime nella pioggia. È tempo… di morire”. Parole apparentemente insensate e lasciate alla libera interpretazione dello spettatore: l’unico riferimento valido è quello di “Shoulder of Orion”, soprannome della stella Betelgeuse. Eppure in quelle atmosfere cupe del 2019, in quei dialoghi enigmatici, nell’umanità dei replicanti, quell’ormai storica iperbole è riferita a tutto ciò al quale è difficile credere, oltre i limiti della fantasia. L’androide si emancipa dall’uomo non soltanto sul piano fisico ma anche su quello cognitivo.
Noi ultimi romantici lo ricorderemo anche per Ladyhawke, pellicola uscita nell‘85 per la regia di Richard Donner, con un cast che vede protagonisti Matthew Broderick e Michelle Pfeiffer, e girato nel capoluogo abruzzese, nelle province di Cremona, Parma, Piacenza e Massa Carrara, nei boschi del Pontremolese, nel Parco Nazionale del Gran Sasso, nella Marsica e nelle Dolomiti. Un fantasy indimenticabile, una storia d’amore e d’avventura in cui l’ex capitano della guardia, Etienne Navarre è – a causa di una maledizione – uomo di giorno e lupo di notte, innamorato di Isabeau D’Anjou, che – per la stessa ragione – è donna di notte e falco di giorno: due amanti, “sempre insieme, eternamente divisi”. In uno storico spot è testimonial della birra Guinness che, in soli tre mesi, incrementò le vendite del 30%. Ribelle e spavaldo non solo dietro alla cinepresa, è fiero ambientalista e impegnato nel sociale, ove la Rutger Hauer Starfish Association opera per la ricerca sull’AIDS e in altri campi medici. Hauer entra di diritto nella storia del cinema mondiale con una filmografia indimenticabile, con oltre cento film all’attivo. È anche John Ryder, un feroce autostoppista killer, in The Hitcher – La lunga strada della paura di Robert Harmon. Il 1988 è l’anno dei riconoscimenti: Golden Globe per il film tv Fuga da Sobibor e Leone d’Oro alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con La leggenda del Santo Bevitore di Ermanno Olmi. Segue un action thriller, Furia cieca di Phillip Noyce, nelle vesti di un cieco veterano del Vietnam abile nell’uso della spada. Oltre a Olmi, collabora anche con un’altra grande della tradizione cinematografica italiana: Lina Wertmüller, che firma la regia di In una notte di chiaro di luna. Hollywood, però, si rivelerà ingrata riservandogli, in seguito, soltanto “b-movies”. Nel 2005 il parziale riscatto con Sin City – del trio Rodriguez, Miller, Tarantino – e Batman Bengins di Christopher Nolan. Negli ultimi anni è tornato da grande protagonista: Federico I Hohenstaufen in Barbarossa di Renzo Martinelli; al fianco di Olmi ne Il villaggio di cartone; Von Helsing, il cacciatore di vampiri, in Dracula 3D di Dario Argento.
A Hauer non importava il ruolo da interpretare, se la parte del buono o del cattivo, dell’eroe o dell’antieroe. Ha dato il volto e la voce a uno dei monologhi più iconici del grande schermo, incarnando passione, genio, carisma, fisicità. E questi momenti non andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. Rutger Hauer, come i suoi personaggi, è stato simile agli uomini ma superiore.