Una Brexit entro il 31 ottobre. Lo aveva annunciato durante la campagna elettorale, adesso vuole essere di parola, costi – letteralmente – quel che costi. Il primo ministro britannico, Boris Johnson, ha ribadito la sua volontà di non pagare i 39 miliardi di sterline dovuti alla Ue: il cosiddetto Brexit bill, la «fattura di divorzio» concordata da Londra e Bruxelles per l’addio del Regno Unito dal perimetro comunitario. Vuole utilizzare tale somma come strumento di pressing per riaprire i negoziati con Bruxelles.
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Si va verso uno scontro frontale con i partner europei, almeno finché Johnson manterrà la linea da «hard-Breexiter» sfoggiata nel suo discorso di insediamento alla Camera dei Comuni. Johnson ha invitato la Ue a riaprire i contenuti dell’accordo di divorzio siglato da Theresa May e bocciato tre volte dal Parlamento britannico. In particolare, ha detto di voler eliminare del tutto il backstop, il meccanismo inserito nell’intesa per evitare la creazione di un confine rigido tra Irlanda e Irlanda del Nord. In nessun caso appoggerà il testo così come è pra, preferendo piuttosto l’opzione del no deal.
L’atteggiamento dei vertici europei è di netta chiusura. In una comunicazione inviata ai diplomatici coinvolti nella Brexit, il caponegoziatore per l’Europa Michel Barnier ha classificato come «inaccettabili» le proposte di Johnson. Anche Jean-Claude Juncker, il presidente in uscita della Commissione, ha ribadito che l’accordo concluso con il governo May è «il migliore e l’unico possibile». Juncker ha aggiunto che l’Ue è disposta eventualmente ad aggiungere qualcosa nella “dichiarazione politica”, cioè nella parte del documento non vincolante, e a valutare altre proposte ma solo se compatibili con l’accordo già firmato.
Diventa sempre meno improbabile l’opzione del no deal. Ma Johnson deve confrontarsi anche con un’opposizione interna. L’opposizione laburista ha deciso di schierarsi contro il no-deal, e gli stessi conservatori hanno votato una mozione che impedisce al premier di sospendere l’attività del Parlamento per far passare un divorzio senza accordi dalla Ue. In questo scenario, il quotidiano britannico Financial Times ha ricostruito alcune opzioni sul tavolo di Johnson. Una delle più verosimili è la convocazione di elezioni generali entro la data fatidica del 31 ottobre. Johnson potrebbe cercare la legittimazione delle urne, magari alleandosi con il Brexit Party di Nigel Farage, per incassare una buona maggioranza alla Camera dei Comuni e ottenere il via libera alla Brexit entro la scadenza prefissata con la Ue. Le opzioni rimaste a Boris Johnson per portare fuori dalla Ue il Regno Unito entro il 31 ottobre sono tre: rinegoziare l’accordo, uscire senza accorso o andare alle urne.