Sono stati indicati come gli U2 del nuovo millennio. E, in particolare, per quel Dna dublinese che è nell’album di debutto “Dogrel”. Si chiamano Fontaines DC e, fra leccate punk e accelerazioni violente, presentano domenica 11 agosto all’Ypsigrock Festival di Castelbuono una romantica versione di Dublino. Ogni canzone è un riferimento a luoghi specifici, pub e punti d’incontro, popolati da un cast di personaggi ai quali dà voce e teatralità il cantante e frontman Grian Chatten. Ma c’è qualcosa di più di semplici ritratti. La ruvida produzione e i ritmi traballanti evocano i familiari umori di Dublino: mercati affollati, ciottoli striati di pioggia e il rombo del freddo commercio mattutino. «Penso a Dublino e alla nostra musica come se fosse la stessa cosa, perché è stato scritta da persone che erano intensamente assorbite dalla città», spiega Chatten. «Ci hanno influenzato ogni angolo delle sue strade e le storie della gente».
La voce robusta di Chatten è fondamentale per la definizione del suono dei Fontaines DC, completati da Conor Deegan III, Conor Curley, Carlos O’Connell e Tom Coll. “Dogrel” è il debutto più esagerato del rock irlandese negli ultimi anni: una rapida ascesa per un gruppo di ventenni il cui desiderio iniziale era quello di formare una sorta di «“Beatles punk” band». Per fortuna, le loro ambizioni si sono evolute. Chatten cita i Pogues e il loro album di debutto del 1984 “Red Roses for Me” come una delle loro principali ispirazioni. L’album dei Fontaines DC ha un aspetto vivo e grezzo. «Suona crudo, magari pieno di errori nella sua forma più potente, ma è come un essere vivente», dice Chatten. «La scelta di lasciarlo andare nella forma naturale, che è davvero molto allineato con i nostri principi come artisti: accettare il primo modo in cui esprimi qualcosa è vero».
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In “Big”, la traccia di apertura di “Dogrel”, Chatten muggisce: “Dublino nella pioggia è mia / Una città incinta con una mente cattolica”. “Too real” potrebbe essere una canzone degli U2 prima maniera. Questo album molto irlandese arriva in un momento in cui le relazioni anglo-irlandesi sono tese come non lo erano da anni, con i negoziati sulla Brexit che mettono in discussione le nazioni in angoli opposti. «Si può sicuramente sentire la crescente anglofobia», dice Chatten. Un sentimento che viene analizzato nella canzone “Boys in the Better Land”, dove un tassista proveniente da un background multiculturale afferma il proprio senso di appartenenza all’Irlanda fumando sigarette Carroll e urlando: “I britannici!”. L’album si conclude con “Dublin City Sky”, un lamento per la fine di una relazione tossica e la frattura del personaggio bohemien della città sotto il peso del capitalismo e della gentrificazione (la trasformazione di un quartiere popolare in zona abitativa di pregio, con conseguente cambiamento della composizione sociale e dei prezzi delle abitazioni). «È molto importante esplorare la cultura morente che viene uccisa dalla “gentrificazione”», spiega Chatten. «Sta gettando un’ombra su ciò che amiamo della città e questo ci dà l’impeto di scrivere su cosa c’è in quell’ombra. Penso che l’Irlanda romantica sia morta e andata. È con O’Leary nella tomba», ride Chatten, completando la citazione del poema di WB Yeats.
I Fontaines DC sono gli alfieri di una nuova ondata di gruppi irlandesi. In rapida ascesa c’è anche il throttles grunge senza compromessi dei Bitch Falcon, trio di Dublino nel quale spicca la cupa voce del cantante e chitarrista Lizzie Fitzpatrick. Interessanti anche i Bouts, il cui album di debutto, “Flow”, li vede modellare un melodioso suono indie-pop dalle fluide e orecchiabili progressioni. Atmosfera pesante e trame soffocanti, invece, nel primo album dei Just Mustard, nel quale regnano il caos e il disordine. Richiami folk nel suono punk furioso dei dublinesi Pillow Queens. Vengono da Limerick invece i PowPig, giovane quartetto emergente: melodramma rock per garage, incentrato sul pop e con un senso dell’umorismo piacevolmente sardonico.