La mossa di Salvini ha spiazzato i Cinquestelle. Il vicepremier leghista ha aperto la porta alla riforma per il taglio dei parlamentari. Subito dopo ha chiesto il ritorno alle urne. E la capigruppo della Camera ha già fissato per il prossimo 22 agosto l’esame sul testo per la riduzione di 345 parlamentari, un giorno dopo l’intervento di Conte e a Montecitorio e due giorni dopo le comunicazioni del premier a Palazzo Madama.
Di fatto per rendere effettiva la riforma sul numero dei parlamentari servono tre mesi che devono passare per verificare che nessuno possa chiedere un referendum. Al termine di questo periodo allora si potrebbe andare ad elezioni. Ed è proprio questa l’intenzione di Matteo Salvini. In Senato è stato chiaro: «Votiamo il taglio dei parlamentari e poi subito al voto». È stato lo stesso vicepremier e ministro dell’Interno a spiegare il cambio di posizione. Che si basa su una diversa, e per molti versi discutibile, interpretazione della legge. L’articolo 4 stabilisce infatti che la riduzione dei parlamentari abbia decorrenza dalla data del primo scioglimento delle Camere successiva all’entrata in vigore della legge costituzionale e comunque non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla predetta data di entrata in vigore». Dunque, se le camere venissero sciolte entro quei 60 giorni, la legge verrebbe «congelata», e i 345 seggi sparirebbero non nella nuova legislatura ma in quella successiva.
A spianare la strada verso il voto nel breve periodo ci sarebbe anche un precedente: la riforma costituzionale della ‘Devolution’, approvata dal centrodestra nel 2005 a ridosso della fine della legislatura. Si decise di rinviare a dopo il voto politico le procedure richieste dalla Costituzione. Il referendum si svolse infatti solo nel 2006, dopo le elezioni politiche, che decretarono però un cambio di maggioranza: vinse il centrosinistra e il referendum bocciò la riforma, che non entrò mai in vigore.
Il taglio dei parlamentari è una riforma costituzionale, che modifica cioè la Costituzione, e per questo ha bisogno di una doppia lettura: sia alla Camera sia al Senato. Una volta pubblicata la legge in Gazzetta Ufficiale, se la legge è stata approvata da una maggioranza inferiore ai due terzi, scatta un tempo di tre mesi, previsto dalla Costituzione stessa, entro i quali 500mila cittadini, cinque consigli regionali o un quinto dei deputati o senatori possono chiedere un referendum per confermare o no la riforma. Se la richiesta del referendum non ci fosse, si potrebbe votare non prima del febbraio 2020. Scaduti i 3 mesi per chiedere la consultazione popolare, dovrebbero passare 10 giorni per la promulgazione della legge e altri 60 per le ridefinizioni dei collegi. Se il referendum venisse richiesto, i tempi si allungherebbero ancora di più: dal momento dell’ultimo voto alla Camera, devono trascorrere 7 mesi e 10 giorni ai quali aggiungerne 10 per la promulgazione e 60 per la ridefinizione dei collegi: si arriverebbe quindi almeno a giugno 2020.