Dopo le dimissioni di Conte, la fine dell’esecutivo gialloverde e l’avvio ufficiale della crisi di governo, occhi puntati sul Quirinale e sulle consultazioni con i partiti per capire chi vuole il voto e chi no e chi è disponibile ad appoggiare un nuovo governo. Sotto osservazione anche M5s e Pd, in vista di un possibile accordo per una nuova maggioranza. La direzione dem riunita al Nazareno ha dato il mandato al segretario Nicola Zingaretti di aprire una trattativa per verificare la possibilità di «un governo di svolta per la legislatura», in «discontinuità» col precedente.
«Serve un governo forte: chiarezza e nessuna confusa ammucchiata», ha detto Zingaretti. «È un dovere dare la disponibilità a verificare se esista la possibilità di dare vita a una nuova maggioranza parlamentare in grado di dare risposte vere e serie ai problemi del Paese. Nessun accordicchio sottobanco, non accetterò sospetti sul mio operato. Il contratto è un errore da evitare. Serve unità nel Pd, non unanimismo, mi appello alla maturità della comunità politica». «Non ho mai demonizzato il M5s – ha poi sottolineato il segretario Pd – anzi, al contrario sono stato oggetto di critiche a volte feroci perché ho tentato di sviluppare un’analisi attenta su questo movimento, ma non posso ignorare differenze enormi, che riguardano principi, un’idea di Europa di democrazia. Non facciamo finta che queste differenze siano scomparse. Dobbiamo lavorare sui contenuti e sul merito».
E Zingaretti fissa i cinque punti che dovranno costituire la base della trattativa. «Appartenenza leale alla Ue per un’Europa profondamente rinnovata; pieno riconoscimento della democrazia rappresentativa, a partire dalla centralità del parlamento; sviluppo basato sulla sostenibilità ambientale; cambio nella gestione di flussi migratori, con pieno protagonismo dell’Europa; svolta delle ricette economiche e sociali, in chiave redistributiva, che apra una stagione di investimenti».
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Sia per il M5s che per il Pd è un passaggio molto delicato. L’incontro tra le parti fino a poche settimane fa sarebbe stato impensabile e già una volta, dopo le elezioni del 2018, il tavolo era fallito. La vera sfida per i democratici è quella della compattezza: le fughe in avanti dell’ex segretario Matteo Renzi, che ha voluto fin da subito mettere il cappello sulla soluzione della crisi, hanno rischiato di far saltare tutto. Ma adesso Renzi fa un passo di lato: «Se c’è una persona che in questo eventuale governo giallorosso non deve entrare, sono io. Ho lanciato l’idea, ma il mio messaggio è credibile se accompagnato dalla rinuncia a poltrona e incarico. Non c’è l’ambizione di farne parte»