L’orologio nelle aree colpite dal terremoto del centro Italia sembra essersi fermato alle 3,36 del 24 agosto 2016. Sono passati tre anni da quella scossa di magnitudo 6.0, che ha provocato 299 morti e distrutto Amatrice, Accumoli ed Arquata del Tronto e decine di altri borghi,ma il senso comune è quello di essere stati abbandonati. La ricostruzione procede a rilento: in tutto sono quasi 50mila le persone che tra Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo sono ancora fuori dalla propria abitazione, tra prefabbricati (le soluzioni abitative di emergenza), alberghi o in affitto con contributo dello Stato.
La fotografia che viene fuori dai dati diffusi dall’Ufficio speciale per la ricostruzione del Dipartimento della Protezione Civile è impietosa. Se si viaggia tra i luoghi del terremoto, da Accumoli ad Arquata, saltano all’occhio soprattutto le macerie. Su un totale di 2.509.043 tonnellate che le Regioni avevano detto di dover smaltire, 800mila, cioè quasi un terzo, sono ancora sui luoghi del sisma. Delle oltre 581mila persone che al 31 luglio 2016 risultavano residenti nell’area del terremoto, una superficie che si estende per 7929 chilometri, 49.322 non sono ancora rientrate nelle loro case. Alcuni vivono nelle Sae, le soluzioni abitative d’emergenza, cioè casette, piccole e spesso con svariati problemi, dalle muffe all’assenza degli allacci necessari per luce, gas e acqua. Sono 1374, invece, i terremotati che da tre anni vivono nelle strutture ricettive, bed and breakfast o hotel che hanno resistito alle scosse, oppure dislocati lungo la costa. Nei container, soluzioni che dovevano essere solo emergenziali, ad oggi sono rimasti in 507. La maggior parte degli sfollati, oltre 38mila persone, invece percepisce il Cas: il contributo di autonoma sistemazione. Un assegno con cadenza mensile o bimestrale, erogato ai terremotati che hanno trovato soluzioni in affitto che può arrivare anche a 900 euro a famiglia.
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Ma sulle migliaia di sfollati pesa soprattutto la lentezza della ricostruzione. Quella pubblica non è mai iniziata e per quella privata fatica ad andare avanti: in tre anni sono state presentate solo 11230 richieste di contributo alla ricostruzione nel privato, 2788 delle quali accolte. Il ritmo è lento e mancano ancora 114mila schede di agibilità e danno da analizzare, tra quelle redatte dal Dipartimento di protezione civile e quelle private. Secondo l’Ufficio speciale per la ricostruzione di queste 34816 daranno esito di agibilità mentre le altre, quasi 80mila finiranno nel mucchio delle richieste potenziali per il contributo alla ricostruzione. Di questo passo occorreranno decenni per ultimare la ricostruzione, ma allora il rischio è che più nessuno vorrà tornare a vivere nelle aree interne di Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo.